VIA DI CONOSCENZA SIGMASOFIA

FONDATORE

Nello MANGIAMELI

∑ophy

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Elementi di C.p.T.

P.Si.: ESTRAPOLAZIONI DI DOMANDE DAGLI OSTACOLATORI

(…) partì per un viaggio, per conoscere, vivere (…)

Uno degli obiettivi della P.Si. è quello di porre in remissione gli ostacolatori al naturale, innato ed ecologico flusso di vita, di intenzionalità e di progetti che ogni Io-psyché produce, per assumere il principio di responsabilità di essere

libero di (…) esprimere ogni intenzionalità ed autodeterminazione,
libero da (…) ogni ostacolatore, condizionamento,
per esprimere in libertà olistico-autopoietica la propria integralità innata,
ecologica e il relativo significato-significante acquisito, per essere ad
esso simmetrico.

Allo scopo di concretizzare questa intenzionalità, la P.Si. propone delle azioni pratiche, concreate, utili a prendere coscienza di quanto assumere a porre in remissione le proprie discrasie e gli ostacolatori alla libertà olistico-autopoietica, alla creazione del principio attivo di autodeterminazione-realizzazione.

Si vivranno gli ostacolatori come pare integrante di sé, come patrimonio prodotto dal proprio Io-psyché; si entrerà in essi, per conoscerli in ogni loro diramazione. Seguir il processo di Concentrazione-transmutazione, per vivere ciò che li forma e per riconoscere l’in-formazione, il messaggio che veicolano e, se ritenuto opportuno, riconoscere e agirne l’azione correttrice.

Entriamo nel merito.

Ci possiamo ora chiedere: che cosa sono gli ostacolatori? (dell’archetipo acquisito b.)

                L’ostacolatore, come detto, impedisce l’integrale e naturale flusso della pulsione olistico-autopoietica a vivere, cioè l’espressione integrale delle emozioni, degli istinti, dell’organizzazione razionale e, soprattutto, delle consapevolezze dei processi localistici e non locali della coscienza.

                Tuttavia, scopriremo che l’ostacolatore a vivere è un processo che permette di consapevolizzare la pulsione stessa a vivere: procedendo senza ostacoli, la pulsione non creerebbe momenti di variazione-contrasto da se stessa, ciò che può appunto permetterne il riconoscimento. Un esempio: se, durante la gravidanza, nel corpo materno si vive ad una temperatura di 36°; nascendo, si incontra una temperatura differente dell’ambiente, che può essere per esempio di 22°. Ebbene, i tutori ci insegneranno a denominare quella variazione-contrasto con il termine temperatura. Si tratta di una pesa di consapevolezza di un processo che, altrimenti, senza creazione dell’opposto-complementare, non avremmo potuto riconoscere. Allo stesso modo, se partecipiamo il fatto che, durante la gravidanza, il soddisfacimento dei bisogni primari o metabisogni, avveniva in fusionalità, per osmosi, attraverso il corpo della madre, scopriamo che, nascendo, quell’automatismo subisce una variazione-contrasto e si organizza attraverso la produzione di bisogni primari non più legati alla fusionalità diretta. I tutori ci insegneranno a leggerli e a decodificarli come inizio di una forma di auto-individuazione riconosciuta.

L’ostacolatore può esser vissuto, letto, sentito come variazione-contrasto di n altro, come opposto-complementare, non importa se positivo o negativo, semplicemente può impedire il naturale flusso. Se ci si autodetermina a vivere l’ostacolatore e il facilitatore, per il tempo della presa di consapevolezza del messaggio, dell’in-formazione che veicolano, sono perfettamente funzionali; se invece l’Io-psyché che li produce, vi si identifica e fissa, può somatizzarli, ossia può far assumere loro la forma discrasica patologica che, attraverso i sintomi, ci in-forma a sua volta che quel flusso si è interrotto.

Quindi, ogni prodotto dell’Io-psyché può assumere la forma di ostacolatore e di facilitatore: una importante finalità della P.Si è vivere che cosa in noi sia tecnicamente in grado di creare ciò che denominiamo ostacolatore, facilitatore, discrasia, salute, e così via.

Tutte le variazioni-contrasto, gli opposti-complementari creati sono nella coscienza, nell’Io-soma-autopoiesi di ogni essere umano. La ripetizione, per identificazione, crea pensieri ed emozioni abbinati, ripetuti, che strutturano in noi veri e propri gruppi, insiemi, di variazioni-contrasto. Un esempio preso dalla vita vissuta: per motivi di funzionalità psico-somatiche, un ricercatore riusciva a trovare lavoro (era laureato), ma dopo poco tempo puntualmente faceva delle azioni che costringevano il suo datore di lavoro a licenziarlo. La cosa si ripeté sette volte e, all’ultima, la difficoltà a trovare un nuovo lavoro e la mancanza di denaro crearono in lui stati d’animo di enorme preoccupazione. Ciò lo costrinse a produrre forti e ripetute intensità di ansia (ogni giorno si mangia, necessità che non poteva soddisfare), tanto da creare in sé uno stato di tensione, di rabbia, di prostrazione e di disperazione di fondo. Ebbene, quando a tutto ci si aggiunse un’ulteriore problematica, questo stato raggiunse un livello d’intensità così forte che l’Io-psyché non ce la fece a contenere, fungendo da detonatore alla fuoriuscita, all’emissione die tutti gli altri stai registrati, memorizzati in lui, in un unico blocco: si manifestò ciò che denomino aggredior-out. In quel caso, la fuoriuscita dell’aggredior si sintetizzò in un pianto disperato, infinitamente lungo, incontenibile e ingestibile, sia da lui stesso sia da chi lo aveva in carico. Dopo venti minuti interminabili, svuotato, liberato, si adagiò al suolo, in posizione fetale, nel chiaro intento di essere contenuto.

In un altro caso, un ricercatore molto colto, fine, amorevole in qualunque situazione, ad un certo momento, il fatto che la moglie lo lasciò, scegliendo un altro essere umano, palesemente e a detta di tutti egoista, rozzo, selvaggio, senza cultura e perfino non molto bello, secondo i parametri convenzionali, fu un detonatore formidabile per l’uscita fuori, in un unico blocco,, di stati di coscienza, di pensieri, di azioni, che aveva integralmente coperto, con l’assunzione di quelle buone maniere e buoni comportamenti, con il pensiero positivo, così definito da lui, reiterato e imposto. L’aggredior-out si manifestò con la fuoriuscita disperata di parolacce, di sproloqui e insulti, mischiati a pianti e a risate isteriche, anche quelle intensissime e interminabili. Al finale, manifestò gesti di auto-aggressione, si diede una bastonata al centro della fronte, procurandosi gravi lesioni e con i pugni sfondò una porta, fratturandosi gravemente le dita delle mani.

                Si scoprì che, per assumere quel buonismo, in favore della famiglia, degli altri, aveva rinunciato a vivere una parte di s, che fin da ragazzo sentiva fortissima, la propria bi-sessualità. Il suo sogno era vivere la propria sessualità e affettività sia con donne sia con uomini, e, possibilmente, con entrambi, realtà improponibile e inaccettabile dalla pedagogia che da sempre aveva vissuto. Tale spinta all’esterno si traduceva “con l’altruismo, con il pensiero positivo2 (da verbalizzazione).

In altri due casi, di cui non entro nel merito, l’ostacolatore estrinsecò con il suicidio e con l’uccisione di tre persone della famiglia, con diverse motivazioni d’innesco. L’aggredior-out non si manifesta improvvisamente e da solo, ma è sempre l’espressione di vissuti che si sono accumulati nel tempo e di cui quell’Io-psyché poteva semplicemente accorgersi. Quando queste pulsioni vengono continuamente represse, possono entrare in circolo, essere emesse in un unico blocco, in un unico atto o stato di cosiddetta crisi.

                Un ultimo esempio.

Un’altra ricercatrice, alla quale era stato imposto si sposare una persona che lei non voleva e con cui generò tre bambini, creò dentro di s^ un mondo di fantasie, di rapporti con altre persone e forme di aggressività verso i bambini. Verbalizzò successivamente di provare quella violenta rabbia, perché proiettava sui piccoli le proprie gravidanze indesiderate, frutto di relazioni non volute e soltanto a vedere i bambini si ricordava quei momenti per lei terribili. Si rese conto di aver sposato quell’uomo e di aver concepito quei figli, perché a quel tempo non aveva avuto la forza di seguire la propria intenzionalità di vita che era semplicemente quella di viaggiare, di conoscere e di avere molteplici relazioni di ogni tipo. Fu così che quella situazione la portò a somatizzare u fibroma molto gande all’utero, e altro (il nesso fu elaborato dalla ricercatrice stessa), diagnosi che prevedeva di lì a poco la morte. Fu il detonatore che la spinse ad andare in banca, dove aveva qualche risparmio che ritirò. Poi, senza salutare nessuno, partì per un viaggio, per conoscere, per vivere, decisione che immediatamente la aiutò ad essere simmetrica con l’intenzionalità che aveva sempre voluto, pensato.

Nel giro di veramente poco tempo, produsse la remissione spontanea di quel fibroma, assunse di stare via per tre anni, rientrò, divorziò e riprese ad occuparsi in qualche modo dei figli, in modo meno proiettivo e aggressivo.

Queste situazioni di vita appena descritte, ci indicano la necessità prioritaria di vivere, di conoscere la propria coscienza, i contenuti, le variazioni-contrasto, gli opposti-complementari, il loro andamento enantiodromico. Ì inoltre importante rendersi conto di quali siano quelli ripetuti, consciamente e inconsciamente, quelli cristallizzati, in cui ci si è identificati-fissati. Lo scopo ‘ viverli, comprenderli, risalirli, transmutarli e applicarvi l’azione correttrice, per ripristinare il naturale flusso eco-sistemico del campo istintivo-emozionale, dei significati simmetrici. Ciò allo scopo di olos-direzionarsi verso le funzionalità innate, che permettono di agire variazioni-contrasto, opposti-complementari, dicotomi, dualità, enantiodromie, utilizzandoli per produrre consapevolezza, per risalire al vissuto della fisiologia e dei principi attivi, da cui tutto ciò nasce.

TAVOLA OLISTICO-AUTOPOIETICA

  • Rievocando le tue esperienze, dal concepimento al momento attuale, con l’aiuto di queste prime semplici informazioni, descrivi che cosa è per te l’ostacolatore, che cosa nella tua vita sta bloccando la tua intenzionalità, la tua volontà intima, profonda.
  • Formula una sintesi di tali riflessioni e racchiudile in una legge, in un aforisma, che ne contenga il significato, la presa di consapevolezza scoperta.

I nomi degli ostacolatori

È luce che non produce ombra

Ogni Io-psyché ogni tradizione ha creato e crea proprie denominazioni allo stato ostacolante il naturale e innato fluire della vita autopoiesi, del campo coscienziale.

Il riconoscimento e il vissuto dei propri ostacolatori sono dei processi che ogni Io-psyché, a proprio modo, produce.

Tutti i ricercatori incontrati verbalizzano, a proprio modo, il fatto che ogni meta bisogno, bisogno-desiderio, stato coscienziale e relativo istinto-emozione represso, di fatto, determina una pressione sul loro Io-psyché, provocata dalla frustrazione del bisogno non soddisfatto in uscita. Ricordo il caso di un prete che sentiva fortissima la pulsione sessuale, ma avendo fatto voto di castità, puntualmente, la reprimeva con forza, anche facendo largo uso di docce fredde! Tuttavia, reprimere quel metabisogno non significa interrompere l’azione dei processi innati che quel metabisogno generano. Si venne così a creare la necessità di repressioni sempre più intense, perché sempre più intenso era il suo bisogno di sessualità. Fu così che, improvvisamente, in occasione di un colloquio con una ragazza (a cui ovviamente anche lui piaceva), non riuscì a reprimere la pulsione sessuale. Fu facilitato dalla ragazza e visse un rapporto sessuale consensuale che, dal racconto che fece, doveva essere stato veramente dirompente, per lui esplosivo, totalmente, integralmente, cellularmente coinvolgente, tanto che abbinò l’intensità di quell’orgasmo ad un vissuto di Dio (da sua verbalizzazione). L’imprinting in lui fu talmente potente che, nei giorni successivi, durante una messa da lui celebrata e a cui venni invitato ad assistere, vissi qualche cosa di veramente inaspettato, per me imprevisto, imprevedibile, che mi sorprese e colse impreparato, nell’accezione più intensa. Vidi quell’essere umano, quel prete, durante il momento dell’elevazione del calice, della transunstanziazione,

metter il brano musicale di Rossana Casale dal titolo “Mio nemico”,
invitare la ragazza con cui aveva avuto lo scambio intenso
e baciarla sulle labbra con grande intensità.

Immaginate il mio stupore e quello dei fedeli, anche anziani, che stavano seguendo la messa! Quell’aggredior-out fu, mi si conceda l’espressione, veramente bello, di un’intensità e un’assunzione penetrante, dirompente! Molti fedeli si alzarono e iniziarono ad insultare pesantemente, altri rimasero bloccati, ammutoliti, come se fossero rimasti paralizzati! Quel vissuto fu per me veramente istruttivo. Ovviamente, nel giro di una settimana quel sacerdote fu espulso dal vescovo responsabile di quella chiesa e immediatamente sostituito. In quell’occasione, veramente unica, ebbi la prontezza di riflessi, malgrado lo stupore, di mettermi in uno stato di meditazione lucida, consapevole, di apertura totale e non persi un solo attimo di quanto stava accadendo. Intuii che l’elemento da quel prete considerato bloccante, ostacolante e quella che denominò la spinta ad unirsi con Dio (da verbalizzazione), ossia la sessualità, la stessa per cui aveva fatto voto di castità, si rivelò per lui come “lo strumento più potente in assoluto per congiungersi a Dio” (da sua verbalizzazione).

Ovviamente, abbiamo verificato insieme che si trattava di proiezioni, termine che deriva da proicere, gettare fuori, in realtà, durante l’aggredior-out, visse il proprio campo istintivo-emozionale in circolo, in modo talmente integrale da coinvolgere l’intero Io-soma-autopoiesi. Quindi, rispetto ai suoi vissuti ordinari, emozionali, provò intensità decine di volte più forti. Disse: “È come se di solito vivessi un kg di piacere e in quel momento ne avessi vissuti cento tutti insieme!”.

Quindi, non si trattava di un incontro con Dio, ma della percezione di un’intensità istintivo-emozionale che mai si era autorizzato a vivere in quel modo. È la condizione ostacolante che molti esseri umani provano: hanno un potere d’intensità esprimibile con cento, ma vivono come se fossero in grado di produrre soltanto uno, perché mai coeso, libero, fluido. L’intensità viene assorbita dai diversi pensieri, da stati di coscienza opposti, per cui l’uno toglie forza al vissuto degli altri.

Per questi motivi, talvolta, ci sorprendiamo quando per pochi attimi riusciamo a vivere in modo coerente, non scisso, quella determinata situazione e sentiamo quel vissuto molto più intenso.

Gli ostacolatori di tale forza istintivo-emozionali vengono investiti in un ruolo molto significativo, quasi fossero autonomi, scissi dall’Io-psyché di cui di fatto sono pare. Vengono vissuti come qualche cosa creata da situazioni esterne e, talvolta, non ci si accorge che si tratta di mere produzioni dell’Io psyché stesso.

Per non essere frainteso, conosco personalmente esseri umani che, non praticando la sessualità, per libera scelta e iena auto-determinazione, hanno prodotto stati di consapevolezza che si prefiggevano, in piena coerenza e simmetria con la loro intenzionalità.

Molti proiettano e attribuiscono ad altri la responsabilità dei propri stati di coscienza, che soltanto a loro stessi possono appartenere.

L’Io-psyché deve poter formarsi a vivere integralmente le proprie funzionalità innate, ecologiche, pre-acquisito e lasciare che fluiscano, senza proibizioni ed ostacolatori, sia sul piano sensorio-percettivo, localistico che su quello sovrasensibile, non localistico, transfinito. Ciò è da profilassi alla caduta in uno degli opposti-complementari: l’esempio ci viene dal sacerdote che dal voto di castità ha creato un opposto-complementare altrettanto potente.

La simmetria con il fluire ecologico innato, pre-acquisito

È luce che non produce ombra,

e ostacoli che, in ogni caso, può contenere e gestire. Il sole, paragonabile ad una sfera, emette luce olos-direzionalmente, così come lo fanno altri Soli. Se uno dei pianeti che ruota intorno al Sole vi si pone di fronte viene illuminato, mentre la pare opposta è al buio. Infatti, quando la Terra si muove, quello che prima era al buio si illumina: in realtà esiste una sola condizione di luce ed è la posizione che si assume di fronte ad essa e che può coprirla, tuttavia, una volta tolto l’ostacolo, cambiata la posizione, quella luce si evidenzia. Quando apriamo la finestra di una stanza, sempre la luce che riempie quel buio e non il buio che si sposta all’esterno. Lo stesso vale per l’Io-psyché, rispetto all’ecologico, all’innato da cui si evidenzia e da cui è formato: quando, con il proprio acquisito, si nasconde al naturale ed ecologico fluire, crea buio, ostacolatori.

I valori di ogni cultura sono determinati dall’Io-psyché: se si forma al vissuto delle proprie funzionalità che lo hanno fatto nascere, assume di essere bioetico, olistico, autopoietico, si autorigenera.

Vivere consapevolmente di essere parte integrante e inscindibile dell’Universi, ossia di essere Universi-pare, essere consapevoli che ogni nostra micro-particella è inscindibile da ogni alta, formando un unico corpo interagente, su cui ogni singolo Io-psyché, che ne è evidenza, può individuarsi con la propria specifica e irripetibile storia, rileva lo stato che denominiamo di autonomia fusionale autopoietica, se anche l’autonomia, la cultura, la consapevolezza differente che ognuno veicola si riconosce nell’innato, nella pre-cultura e li integra insieme, vedremo sorgere irresistibilmente stati di coscienza, consapevolezze, in grado di porre in remissione ogni ostacolatore. Non si evidenzierebbero pseudo dottrine dell’amore, ma consapevolezza continuamente presenti, partecipate, riguardo la facoltà di creazione, continuamente in essere. In questo momento, a seguito di determinati processi si stanno formando nuove stelle e altre, per così dire, stanno morendo e noi, ci dice la scienza, a livello microstrutturale, quantistico, siamo entangled con tutto ciò.

Non dobbiamo creare una nuova chiesa, ma progressioni Io-maieutiche, Io-somatiche verso l’autoconsapevolezza vissuta di essere parte-Universi, per poi riconoscersi quale Universi-parte transfiniti che siamo.

Non c’è nessun demone nell’interiorità, nemmeno nell’accezione greca in cui il Daimon era riferibile al divino. Se scaviamo, scendiamo nelle estensioni non locali, troviamo il genoma, gli atomi, le meccaniche quantistiche e le estensioni del campo coscienziale che, lì, si apre al transfinito. Troviamo l’ecologico innato.

Le leggi autopoietiche innate, i principi attivi naturali, localistici e non localistici sono l’ontos-sophos-logia interiore, da cui far scaturire la propria azione.

Non c’è alcun mondo degli inferi dove scendere, ma semplicemente vivere costellazioni di memorie che noi stessi, attraverso le azioni, le esperienze, abbiamo registrato. Abbiamo verificato che, in taluni casi, tali transmutazioni possono avvenire in tempi brevissimi e, in altri

L’esperienza è così forte e consapevole che si può
rispondere prima che la vita ponga le proprie domande.

Abbiamo moltissimo materiale per affermare che, in molti casi, dopo le promesse di fedeltà, dichiarate al momento del matrimonio, le persone se ne dimenticano e si aprono ad altre storie. Ebbene, alcuni Io-psyché tengono conto di queste possibilità e determinano azioni correttrici, come profilassi, prima che l’evento si realizzi. Si tratta dell’azione correttrice di se stessi, che tiene conto della consapevolezza complessiva maturata. Voglio comunicare che spesso sappiamo in anticipo quali situazioni esistenziali molto probabilmente produrremo, ragione per cui possiamo tenere conto di adeguate azioni correttrici (pre-visiva e precognitiva) da concretizzare come profilassi ad eventuali errori già commessi, prima che si verifichino di nuovo.

Non dobbiamo confonderci con gli ostacolatori, con l’ombra, perché è come dire implicitamente che esiste un Io-psyché buono che sa decidere al meglio, e ne esiste un altro cattivo, pieno di ostacolatori, di ombre, come se i due fossero entità separate. Ma le cose non stanno in questo modo: gli ostacolatori sono continuamente inscindibili da quell’unico Io-psyché, non ci sono più enti, ma un unico campo coscienziale, composto da contenuti di qualunque valenza e inscindibili da esso, esattamente come lo è un’onda dal mare che la produce. La via è prendere coscienza, vivere l’ostacolatore, l’onda e, una volta riconosciuto, risalito, transmutato, si può entare nel mare, nell’innato che quell’onda, quell’ostacolatore e relativa emozione hanno prodotto. I mostri malvagi, da cui alcune mitologie, saghe epiche vogliono salvarci sono semplici proiezioni di interpretazioni non complete. Non sconfiggiamo nessun ostacolatore, nessun drago o nessuna ombra: li reintegriamo e poi, attraverso la Concentrazione-meditazione, li risaliamo e transmutiamo.

L’ostacolatore può veicolare informazioni ed ispirare, ma va sempre riconosciuto come processo legato all’acquisito, da risalire e transmutare. Ciò non significa che, nei momenti di passaggio, non se ne possano estrapolare in-formazioni utili a noi stessi. Fino ad oggi, dopo trent’anni di pratica, sono riuscito ad individuare, a vivere, trentatré costellazioni ostacolanti:

  1. Ostacolatore identificazione
  2. Ostacolatore metabisogni e bisogni-desideri
  3. Ostacolatore frattura
  4. Ostacolatore di spezzettamento
  5. Ostacolatore carattere
  6. Ostacolatore difese-resistenze-repressione (D.R.R)
  7. Ostacolatore di congiunzione-penetrazione
  8. Ostacolatore innamoramento
  9. Ostacolatore somatici
  10. Ostacolatore dipendenza e contro-dipendenza
  11. Ostacolatore apprensione-paura-terrore
  12. Ostacolatore traslazione e controtraslazione
  13. Ostacolatore causalità-casualità-effetto
  14. Ostacolatore coazione a ripetere
  15. Ostacolatore condizionamento
  16. Ostacolatore sostanze psicotrope
  17. Ostacolatore narcisismo
  18. Ostacolatore compensazini reazione e trasformazione
  19. Ostacolatore violenza
  20. Ostacolatore potere, onnipotenza e impotenza
  21. Ostacolatore enantiodromia ambivalenza e plurivalenza
  22. Ostacolatore ecmnesia: amnesia, reminiscenza, déjà vu, déjà entendu, déjà pensé, jamais vu, apparizione e sparizione
  23. Ostacolatore dolore-gioia
  24. Ostacolatore d’incorporazione-introiezione
  25. Ostacolatore pregiudizio e stereotipia
  26. Ostacolatore perdono
  27. Ostacolatore nevrosi
  28. Ostacolatore discraiosi
  29. Ostacolatore autismo
  30. Ostacolatore depressione
  31. Ostacolatore tradizione e tradimento
  32. Ostacolatore linea del destino
  33. Ostacolatore stato coscienziale punto morte

Ne tratteremo alcuni, nelle seguenti schede:

TAVOLA OLISTICO-AUTOPOIETICA

  • Descrivi sinteticamente l’ostacolatore che riconosci ti abbia maggiormente impedito di realizzare ciò che ti prefiggevi o ti prefiggi, il progetto a cui senti di tenere molto ma che senti di non poter realizzare, appunto perché bloccato.
  • Forma una sintesi di tali riflessioni e crea una massima, un aforisma che le contenga e comprenda l’insegnamento che ne hai estrapolato.

Reintegrazione e transmutazione dell’ostacolatore e dinamiche ostacolanti

Luce e ombra sono processi che
devono essere
risaliti e transmutati nel vissuto di ciò che li genera.

Come detto, gli ostacolatori sono le variazioni-contrasto, gli opposti-complementari su cui l’Io-psyché si è identificato e fissato e che non sono stati utilizzati come strumento di consapevolezza e della fonte da cui sono scaturiti.

In goni fase della vita, creiamo opposti-complementari, consci e inconsci.

Il lavoro formativo consiste nel conoscerli, viverli, risalirli, reintegrarli e transmutarli, rendendoli coerenti con tutto l’Io-psyché.

                Generiamo variazioni-contrasto, opposti-complementari, dicotomi, dualità, per crescere, per potenziare l’Io-psyché e la sua consapevolezza. L’ostacolo nasce, quando ci identifichiamo o fissiamo in uno degli opposti, delle variazioni, della polarità o in entrambi, perché lo scopo è estrapolarne consapevolezza e transmutarli in facoltà efficaci, disponibili all’Io-psyché.

Trasmettere la

pragmatica della disidentificazione,
dall’identificazione-fissazione nell’ostacolatore

È uno degli scopi della P.Si., per preparare il terreno alla conoscenza.

                Ogni essere umano crea opposti-complementari e li accumula, motivo per cui è facile sentire testimonianze di aggredior-out, anche episodici o unici, verificatisi nella vita della stragrande maggioranza degli Io-psyché.

Questi spesso si identificano in uno degli opposti, di fatto si scindono dall’altro che, pur restando loro parte integrante, non viene considerato, non gli si presta attenzione, non se ne ricava consapevolezza diretta. L’Io-psyché è il centro di comando, di gestione e in lui ne riconosciamo il contenuto ostacolante, che di solito viene represso.

Essendo parte dello stesso soggetto, accade che, nei momenti in cui questi riduce lo stato identificativo che sceglie di essere, possono evidenziarsi insights della parte repressa: si può pensarla e metterla in circolo, attraverso diverse modalità, come i lapsus, gli atti in più o in meno, distrazioni, incidenti, visioni. Per esempio, nel caso della schizofrenia, l’Io-psyché si scinde e si identifica con la propria componente repressa.

Per disidentificarsi da quella pare di sé, ovviamente non servono farmaci neurolettici, ma un’adeguata formazione vissuta, volta a potenziare le proprie funzionalità, senza identificarsi o fissarsi su qualche contenuto.

                Ci sono moderne forme di identificazione-fissazione, che troviamo in ogni settore dell’organizzazione socio-politico-culturale dell’epoca, anch’essa edificata dall’Io-psyché. Voglio ribadire un punto fondamentale: non esiste l’ostacolatore separato dall’Io-psyché, se non per l’interpretazione inadeguata, sono lo stesso processo, quello che accade è che l’Io-psyché determina scissioni, separazioni da parti di sé.

                Il ricercatore in Sigmasofia rivolge l’Io-psyché su se stesso, si forma a se stesso, complessivamente e non soltanto verso l’ostacolatore, il cammino verso la conoscenza passa sempre attraverso il vissuto diretto di se stessi e il processo verso la risalita di ogni stato coscienziale producibile fino alla fisiologia somatica che lo forma. Da questo punto, si può iniziare l’esplorazione consapevole della non località, facendo ricadere simultaneamente nell’azione quotidiana quanto consapevolizzato.

L’Io-psyché non può confrontarsi con un a parte di se stesso, in quanto il termine confrontarsi presumerebbe di scindere l’Io-psyché in due parti, ma è uno e inscindibile. Quindi, non può far altro che partecipare fusionalmente e osservare quella parte di sé. Un esempio: ogni essere umano (come gli altri esseri viventi) dispone della facoltà della respirazione, che è una e inscindibile, tuttavia, noeticamente, la scindiamo in due parti: l’inspirazione e l’espirazione, che sono inscindibili. Quindi, ci si occupa di respirazione, non di poli vissuti come separati. La respirazione è inscindibile dal corpo fisico che la produce, quindi non può essere letta scissa dal corpo; allo stesso modo, il corpo fisico non può funzionare senza i processi appartenenti all’ambiente, all’ossigeno, al Sole, e ad altro, quindi non può essere vissuto senza tener conto di quell’estensione, a cui è atomicamente e coscienzialmente legato. Voglio comunicare che è dal vissuto partecipato, fusionale, olistico che affrontiamo la parte, senza proiettare scissioni, ossia avendo sempre chiara la posizione olistica che zooma sulla parte, tale ritmo olistico-autopoietico è uno degli elementi a cui formarsi attraverso il vissuto diretto. Il ritmo nasce dalla consapevolezza che la forza unitaria che siamo, l’Universi, evidenzia parti. È dalla consapevolezza, di essere atomicamente e coscienzialmente legati, di essere Universi che nascono modulazioni di ritmo: come un’onda che si muove nell’oceano. In questo senso, la vita-autopoiesi è ritmo.

Le alternanze ritmiche che partecipano le diverse parti-Universi sono inscindibili da Universi, come l’espirazione-inspirazione che partecipiamo in noi sono inscindibili dalla respirazione. Nel momento in cui si inseriscono delle interferenze al naturale flusso, si possono riscontrare delle discrasie, appunto perché si dissociano i ritmi della respirazione: a uno di quegli sbilanciamenti diamo il nome di asma. Ma perché l’Io-psyché dovrebbe sbilanciarsi? Uno dei motivi è funzionale alla normale presa di consapevolezza. Tuttavia, se la variazione-contrasto si reitera in modo eccessivo, nasce la patologia, che ci avverte di avere spezzato il ritmo olistico-autopoietico, di essere andati fuori funzionalità ecologico-innata: è la manifestazione dell’ostacolatore. Quando modifichiamo i ritmi naturali, creiamo variazioni-contrasto che vengono registrate e memorizzate. Oltre alle funzionalità naturali, possono imprimersi nell’Io anche ricordi errati o contrastanti, che vanno a formare il primo opposto fondamentale, quello tra l’Universi innato e la pare acquisita. Dal momento in cui ci si identifica soltanto nell’acquisito ovvero nel sensorio-percettivo, si forma ciò che ho denominato

l’ostacolatore frattura della consapevolezza.

La formazione vissuta aiuta a sanare tale frattura e a transmutare lo stato ostacolante, poiché ci si ricollega con i processi innati, sensibili e sovrasensibili, locali e non locali, da cui tutti nasciamo.

Quando, durante la formazione a se stessi, si scopre che ogni opposto-complementare è evidenza di forze unitarie, in grado di generarlo, si procede alla conoscenza di quel processo.

Si assume che la formazione debba condurre a vivere integralmente ogni stato di coscienza esistente, ogni parte—Universi, senza giudizi o definizioni. Ogni volta che si evita di consapevolizzare, di vivere una di queste parti, si crea la base per una variazione-contrasto che può assumere funzioni ostacolanti. La formazione consente di non reprimere parti di sé e permette di procedere alla loro reintegrazione, fatto che riduce notevolmente la possibilità di creare aggredior-out incontrollabili.

Per espandere la propria coscienza, è necessario vivere le variazioni-contrasto e gli opposti-complementari: non si tratta di abisso della coscienza, ma di stati coscienziali, non ci sono profondità o altezze, ma processi esistenti da consapevolizzare, da transmutare. Anche il dolore e la gioia sono manifestazioni di tale esistente, su cui applicare il vissuto viscerale, la concentrazione-transmutazione.

Non importa come ognuno decida di realizzarlo o di consapevolizzarlo: l’importante è che lo faccia. È tale vissuto e risalita, realmente raggiunti, che aiutano ad espandersi e a rendersi consapevoli, operazioni per la cui realizzazione non è necessario provare dolore o cadere nella patologia! Non ci sono contrazioni da fare per raggiungere maggiori espansioni: contrazione-espansione sono espressioni polari di processi unici, che si generano. Nel linguaggio di qualche impostazione formativa, si usa l’espressione andare verso l’alto per indicare l’evoluzione della consapevolezza, il che presuppone che ci sia un basso di partenza: in un Universo transfinito, non è possibile riferirsi ad un alto e ad un basso che, secondo quest’ottica, semplicemente, non esistono

Non ci sono nemici da amare o amici da odiare: chi si occupa di ricerca dovrà impegnarsi nella risalita-transmutazione di qualunque stato coscienziale. Se risalgo e transmuto uno stato di coscienza che interpreto come positivo e che mi suscita piacere, entro nella fisiologia localistica e non locale che lo forma: da quello stato, non dovrò necessariamente soffrire o provare dolore, per eventuali dispiaceri emozionali. Ed è proprio il reale vissuto della non località che ci farà scoprire ogni opposto-complementare, di qualunque valenza. Voglio comunicare che si può risalire sia da ciò che viviamo come positivo sia da ciò che viviamo come negativo, o da entrambi: quello che importa è il campo coscienziale olistico-autopoietico non locale, da cui ogni stato coscienziale localistico nasce. Ed è proprio quel vissuto che ci consente di

riportare all’unità la dicotomia, l’opposto-complementare.

Ogni Io-psyché esprime la pulsione olistico-autopoietica a conoscere. Non ci sono sensi di colpa, colpevolizzazioni, ma soltanto Io-psyché che in quel modo interpretano, luce e ombra sono processi che devono essere risaliti e transmutati nel vissuto di ciò che li genera. Il cammino auto formativo passa attraverso la Concentrazione-transmutazione degli opposti-complementari.

Il campo coscienziale olistico-autopoietico, lo stato di entanglement coscienziale (E.C.A.) che veicola, può produrre guerra e pace, ricchezza e povertà, vita e morte (…), genera il mondo delle variazioni-contrasto, delle polarità, visione da cui ogni opposto-complementare è vissuto come emanazione simmetrica dell’Universi-parte, se stessi, dobbiamo formare a questa consapevolezza.

TAVOLA OLISTICO-AUTOPOIETICA

  • Prova a riconoscere uno stato di coscienza unitario e non scindibile in opposti-complementari.
  • Riconosci il vissuto correlato e transmutalo in un aforisma, legge
  • Pratica il rilassamento e la respirazione autopoietici e concentrati-medita sull’esistenza degli opposti, sull’esistenza del processo unitario che li genera.

Il campo coscienziale e l’auto-organizzazione

Y, due forze opposte che confluiscono nell’unità e, capovolgendo:
λ, il lambda, che indica la forza unitaria che può produrre opposti-complementari.

L’unità delle cose, l’Universi-parte che siamo, no è una verità ultima, ma uno stato che esiste.

Universi e parte anch’essi spesso sono interpretati come opposti-complementari. Per la Sigmasofia, fanno parte di un unico processo: l’Universi-parte, che produce punti vita e punti morte. Continuamente e ogni secondo, migliaia di esseri viventi nascono e migliaia di esseri viventi muoiono: è questo un opposto-complementare significativo, creato da Universi.

                In tal senso, la vita e la morte sono la testimonianza dell’essere transfinitamente in vita-autopoiesi dell’Universi, motivo per cui gli opposti-complementari sono esistenti e non hanno gerarchie. Punto vita e punto morte sono processi propedeutici alla presa di consapevolezza di Universi che necessita di produrre quegli opposti, per prendere coscienza di se stesso. la relazione tra punto vita e punto morte con l’Universi-parte che li genera può essere rappresentata dalla lettera U che rappresenta le due forze opposte che confluiscono nell’unità. Capovolgendo la Y, si forma λ, il lambda, che indica la forza unitaria che può produrre opposti-complementari (si tratta di due simboli utilizzati in Sigmasofia.

Trovandoci nella condizione di parte, divisibile in opposti-complementari, non consapevole di Universi, dobbiamo formarci a quella presa di consapevolezza, in modo da poter reintegrarci e riconoscerci nel principio unitario. Dopodiché, all’inverso, possiamo assumerci la facoltà di generare dall’unità e in modo funzionale ogni opposto-complementare.

                L’autorealizzazione consiste, quindi, nel due che diviene uno e nella consapevolezza che l’uno genera il due: insieme formano:

lo scettro del potere reale della Sigmasofia. È formato dalla Y sopra e dal Lambda sotto, ad indicare il due che diventa uno e l’unione del maschile con il femminile, che forma l’uno, il figlio. A sua volta, questi produce gli opposti-complementari, la Y, l’essere umano che veicola facoltà Psi, rappresentata dal tratto evidenziato al centro della biforcazione della Y, appunto la Psi: Ψ. Da questa simbologia deriva il nome dello scettro ipsilambd o scettro ∑igma (∑), che significa sommatori più proprietà emergente, in quanto uniti e coesi nel corpo umano.

La forma a Psi, se ruotata di 90°, richiamo il (∑) Sigma,

lo strumento operativo che noi stessi utilizziamo per l’autorealizzazione.

L’impugnatura dello scettro, di se stessi, è posta al centro: nella trasposizione al corpo umano, è l posto del cuore, mentre l’asse unico del lambda corrisponde al cervello viscerale e la base della Y Ψ alla testa.

 L’unione di testa-cuore-pancia, in un processo coerente, autoconsapevole.

Se sappiamo farlo danzare, lo scettro pone in remissione l’identificazione negli opposti-complementari e, da lì, si può procedere alla sua dinamizzazione e delocalizzazione (di se stessi). Infatti Ipsilambd rappresenta più posture che il corpo umano può assumere, per praticare le Autopoiesi olosgrafiche (le meditazioni dinamiche).

Tale simbolo, inserito nell’ambiente, nella linea dell’orizzonte, del cerchio, di cui siamo il punto, in cui inseriamo la Ipsilon, la Psi, il Lambda, da cui emerge il ∑ophy e il Sigma, graficamente, si presenta così:

sigmasophy logo

È la Tavola autopoietica (o scudo), che simultaneamente coincide con lo scettro del potere reale, incluso in ogni essere umano (parte-Universi).

L’Universi-parte genera opposti -complementari, lo scettro Ypsilambd, per auto-riconoscersi, auto-consapevolizzarsi. Infatti, utilizzando il Potere reale dello scettro, di se stessi, dell’Io-psyché abbiamo creato la scienza, la filosofia, la spiritualità, le religioni (…), per produrre che cosa, se non la conoscenza di noi stessi, dell’ambiente, del cosmo?

È importante ribadire che unità e opposti-complementari sono un processo unico, e la Concentrazione-transmutazione degli opposti serve a trascenderli ma, nello stesso tempo, a reintegrarli nel tutto fusionale.

Gli opposti-complementari sono delle creazioni dell’universi-parte unitari e servono appunto a creare una variazione-contrasto allo stato di unità. Questo perché tale Universi unitario non è consapevole di se stesso, funziona per automatismo olistico-autopoietico, non avendo contezza di sé, autoconsapevolezza. Attraverso la produzione di opposti-complementari, di variazioni-contrasto, si

determina una variazione all’automatismo naturale e quella differenza di potenziale seve a creare i contenuti acquisiti.

Le funzioni dell’Io-psyché, le sensazioni dell’aggredior (lo stimolo della fame, della sete, del respirare e così via) creano la consapevolezza, che viene integrata alla funzione Ypsi, utile al riconoscimento dell’Universi stesso.

                In questo modo, quindi, si può procedere dalla variazione-contrasto, dall’opposto-complementare al riconoscimento dell’Universi che, senza tali funzionalità, sarebbe stato impossibile riconoscere consapevolmente. Il problema tecnico, come visto, è quando l’Io-psyché si identifica e si fissa in una delle sue componenti (appena descritte), senza usarle per raggiungere la consapevolezza dell’unità e iniziare ad esplorarla nelle sue estensioni transfinite.

Quella identificazione-fissazione in parti di se stesso, non utilizzate come funzione Ypsi, è l’ostacolatore-discrasia.

La disidentificazione dall’identificazione-fissazione, la sintesi in funzione Ypsi, l’applicazione di quest’ultima all’Universi-parte, la realizzazione della Concentrazione-transmutazione ci portano al vissuto dell’unità dell’Universi-parte. Dobbiamo ascendere dalla polarità all’unità, la creazione si evidenza dallo stato unitario.

Gli opposti-complementari, le variazioni-contrasto sono quindi lo strumento formidabile necessario ad edificare la funzione Ypsi, la consapevolezza olistico-autopoietica dell’Io-psyché che va potenziata fino a che coincida con la capacità di riconoscere l’universi.

Per questo motivo, è necessario tenere l’Io-psyché continuamente in espansione, in potenziamento, transfinitamente. Più la funzione Ypsi è grande, più riconosce l’Universi, di cui è emanazione.

Universi-parte unitario e opposti-complementari sono un processo unico fusionale, inscindibile, transfinitamente in essere: è come se, in ultima partecipazione, osservazione, l’Universi fosse un creatore di se stesso e dell’autoconsapevolezza che produce. Ciò significa che da qualunque variazione-contrasto, da qualunque opposto-complementare, è possibile risalire all’Universi-parte transfinito: non importa se interpretato come positivo o negativo.

L’Io-psyché, evidenza del campo coscienziale olistico-autopoietico, è di fatto inconsapevole di parte di se stesso, sia come opposto-complementare sia come processi a lui stesso innati.

Per la Sigmasofia, il termine Se non è utile, mentre è maggiormente significativa l’espressione coscienza olistico-autopoietica, che genera e include l’Io-psyché.

In definitiva, è il campo coscienziale olistico—autopoietico, in tutte le sue espressioni, che sta agendo per auto-riconoscersi e più si auto-riconosce più vive l’auto-organizzazione che esprime consapevolmente e che può essere posta a sostegno dell’azione quotidiana.

La formazione delle variazioni-contrasto e degli opposti-complementari ha inneschi naturali innati, ma anche forti intuizioni acquisite, come significati-significanti. Il fatto che spesso non si somministri la P.Si., che include la conoscenza della funzione degli opposti-complementari, determina l’evidenza di una pedagogia che sceglie tra gli opposti- sesso la partecipiamo, quando utilizziamo locuzioni come il bene e il male, amore e odio, vita e morte (…), ossia quando non li riconosciamo come opposti-complementari, entrambi da vivere, risalire e, da cui estrapolare la funzione Ypsi, dopodiché da transmutare nel riconoscimento vissuto dei processi unitari, da cui si evidenziano. Scegliendo il bene, di fatto si tenta di dirigersi verso uno degli opposti, cercando di evitare l’altro, scelta che, di fatto, non ne impedisce l’esistenza. Inoltre, essendo tutto legato e interagente, non possiamo non incontrarlo dentro o all’esterno di noi, appunto perché spesso legato alla scelta di dover essere il bene, l’amore. Se scegliamo una direzione, ci sembra che l’altra venga esclusa, ma di fatto non è così: la P.Si. è necessaria!

Quando ci si forma a se stessi, è perfettamente naturale vivere che le prese di consapevolezza e la creazione di funzione Ypsi siano continue come dovrebbe esserlo l’auto-transmutazione dello stato di auto-consapevolezza e dei significati-significanti dell’Io-psyché. Per questi motivi, l’aggiornamento costante della consapevolezza è ecologico. Infatti, quando si osservano politici appartenenti a partiti, in cui si impongono direzioni prestabilite o, nello stesso modo, si notano convenzioni socio-culturali che non tengono conto delle naturali innovative prese di consapevolezza, si rileva la nascita di ostacolatori che, all’opera su vasta scala, sono in grado di condizionare numerosi Io-psyché.

L’Io-psyché produce continuamente ciò che interpreta come bene e ci che interpreta come male, dall’uno crea l’altro, dall’altro crea l’uno. Tale danza continuamente ripetuta risponde all’esigenza di avere sempre disponibili opposti-complementari, enantiodromie, da risalire e risolvere nell’unità autoconsapevole che, a sua volta, può generare dicotomie ed opposti. A quel punto, essendone consapevole, l’Io-può realmente iniziare a decidere che cosa produrre.

TAVOLA OLISTICO-AUTOPOIETICA

  • In quali opposti-complementari sono identificato-fissato?
  • Quali ostacolatori ho indotto in me stesso e in altri?
  • Attraverso quali azioni ho risalito e transmutato gli opposti-complementari?

Eziologia degli opposti

Sia fatta la propria volontà!

Non si tratta di scegliere se agire il bene o il male, l’odio o l’amore (…)! Si tratta di vivere la loro funzione quali opposti-complementari per poi ascenderli ed entrare nel loro padre-madre unitario: la creazione e i suoi ingredienti.

Se qualcuno commettesse intenzionalmente del bene o del male, creerebbe nuove sfumature di opposti nel mondo, incrementando l’identificazione-fissazione in uno soltanto degli opposti.

Possiamo anche orientarci a riconoscere la creazione e ottenere contenuti opposti.

In questo senso, anche il bene e l’amore sono l’ombra, ostacolatori molto più subdoli, perché si lasciano ben volere, sono seduttivi rispetto al male, all’odio, che d’impatto sembrano richiedere di essere superati.

Per questo motivo, durante il setting P.Si., ogni volta che un ricercatore esprime un contenuto coscienziale, lo leggiamo, di base, come correlato all’opposto non manifestato. Qualunque cosa venga affermata viene accolta, indagata ed elaborata con l’opposto-complementare, al fine di risalire e transmutare entrambi. In tal modo, si evidenziano sempre gli opposti-complementari e le associazioni tra loro possibili: tutte le enantiodromie di cui disponiamo.

Gli opposti-complementari possono diventare degli ostacolatori, se ci identifichiamo e ci fissiamo in uno o in più, ma divengono facilitatori, se ne estrapoliamo l’insegnamento, la funzione Ypsi, da applicare alla loro risalita, alla loro transmutazione.

Se desideriamo con forza un opposto e, quindi, ne rifiutiamo altri, la loro intensità cresce e, se non ne estrapoliamo l’insegnamento-funzione Ypsi, contribuiamo a fissarci, fino a che facciamo assumere loro la funzione di ostacolanti il naturale flusso della pulsione olistico-autopoietica a conoscere. Per questo, si vedono esseri umani, anche anziani, identificati, fissati, che si auto-ostacolano le reali possibilità conoscitive di cui dispongono.

Accade che taluni Io-psyché, identificati, fissati in uno degli opposti e in perfetta buona fede, non riescano proprio a riconoscere l’esistenza dei processi descritti, tanto da essere definiti discrasici da chi è riuscito a uscire dallo stato identificativo. Per poter proseguire nella presa di consapevolezza, dovrebbero essere loro stessi a rendersi conto dell’identificazione in cui si trovano. Per questi motivi, talvolta si utilizza la pragmatica della destrutturazione, con iniziative e azioni che trascendano lo stato identificativo nella convenzione dell’epoca, in cui i più si riconoscono. Si tratta di una variazione-contrasto a quello stato identificativo e fissato. Per questo motivo, valorizziamo stati di coscienza innovativi, espressi da singoli o da minoranze, sempre nell’ottica di condurli, attraverso il vissuto, all’unità, da far ricadere consapevolmente a sostegno dell’azione quotidiana.

La realtà, di cui siamo emanazione, è un fatto e anche se l’Io-psyché pensa di non accettarla non può non parteciparla. Non è possibile cambiare la realtà olistico-autopoietica complessiva, quello che si può fare è consapevolizzare le sue funzionalità innate! Invece, riguardo le sue componenti acquisite, i significati-significanti attribuiti, attraverso cui ognuno, a proprio modo e dal proprio stato di consapevolezza a livello culturale, li interpreta, si può affermare che si tratta di contenuti continuamente ri-definibili, specialmente per quanto concerne le interpretazioni intellettuali, speculative, ideologiche, che non nascono dal vissuto integrale, penetrato.

La via consiste, quindi, nella formazione a sé, attraverso il vissuto diretto, per potenziare le diverse facoltà e la consapevolezza. Poi, proseguire attraverso le varie transmutazioni e farle ricadere nell’azione, modificando così la propria partecipazione all’organizzazione acquisita complessiva.

Il ricercatore in Sigmasofia sa che la propria consapevolezza è incompleta e che deve assumere di continuare a formarsi, per accrescerla. Non si tratta di riconoscere o di modificare presunte debolezze: in un Universi, in un tutt’uno atomicamente e coscienzialmente legato, essere forti o deboli (che sono categorie proiettive) perde ogni significato. Occorre piuttosto, come detto, essere coscienti delle funzionalità innate e acquisite, per agirle con consapevolezza.

Per questi motivi, una delle prime azioni formative è riconoscere, vivere le proprie proiezioni-traslazioni, come quella per cui si tende ad attribuire ad altri responsabilità che, in ultima partecipazione, possono appartenere soltanto a se stessi. Paradossalmente, in questo se stessi, l’altro è parte integrante, come funzionalità microstrutturale, coscienziale.

Non interessa allontanare da sé il principio di responsabilità, perché attraverso la formazione è possibile vivere l’estasi di assumere la responsabilità di creare conoscenza in modo diretto. In questa azione non ci sono difese o attacchi da fare verso altri, in quanto si lavora per porre in remissione diversi ostacolatori.

Il modo di procedere è il seguente. Quando pensiamo di vedere nel cosiddetto altro un problema, una patologia, dobbiamo tentare di riportare quella valutazione a noi stessi, cercando di individuare le caratteristiche del pensiero che ha saputo individuare l’ostacolatore nell’altro. Quindi, possiamo verificare come lo stesso fatto che proiettiamo fuori di noi, riguardi proprio la nostra azione, i vissuti simili, di cui abbiamo potuto formare quel giudizio e iniziare così a risalirlo e a transmutarlo.

Quello che prima era un rimprovero all’altro,
diviene la porta per entrare nel corrispettivo interiore di noi stessi e
attraversarlo.

Si lavora per riconoscere i metabisogni, i bisogni-desideri e arrivare alle funzionalità che li hanno creati; prima di seguirli, aspirando alla loro eventuale soddisfazione, si può procedere a monte, per vivere come si sono formati sia come processi funzionale sia come significati-significanti.

Non si tratta di migliorare, ma di vivere e consapevolizzare.

Questo orientamento permette il potenziamento progressivo dell’auto-conoscenza. Ci autodeterminiamo nel lavoro duro su noi stessi, organizzandoci l’azione conoscitiva e ponendo in remissione la delega ad altri, con particolare attenzione e non cadere nella proiezione ingenua di chiedere ad un’ipotesi, quale Dio, le divinità (…), eventuali soluzioni.

Facciamo accadere quanto riusciamo ad auto-determinare.

Sia fatta la propria volontà!

Ed ecco che la realtà che riusciamo a riconoscere è diretta emanazione della formazione vissuta, reale e la realtà diventa vissuta, continuamente potenziabile. Tale simmetria ha il potere di ridurre, di porre in remissione l’ostacolatore stress, il burn-out esistenziale, quello che nasce quando proiettiamo bisogni-desideri e la realtà che incontriamo risponde in modo opposto, ossia, quando non ci rendiamo conto che siamo noi a determinare quello stato psicosomatico discrasico.

Si assume di formarsi a divenire progressivamente più autoconsapevoli
e quindi realizzare in noi il cambiamento che la proiezione pensa
ingenuamente di vedere nell’altro.

TAVOLA OLISTICO-AUTOPOIETICA

  • Quale azione auto-formativa sto attuando, per vivere ciò che fa nascere i meta-bisogni, i bisogni-desideri?
  • Sto realmente potenziando la mia autoconsapevolezza?
  • Quale orientamento sto dando alla mia vita?
  • Sono d’accordo con me stesso, con la mia azione formativa?
  • Sto soltanto denunciando il problema, l’ostacolatore o sto vivendo azioni efficaci per superarlo?

La Tavola olistico-autopoietica si amplia e cresce via via che il setting P.Si. prosegue. Sarà il ricercatore stesso a riempirlo della propria storia, dei propri ostacolatori-discrasie da cui dedurre domande (…) e da cui, dopo la Costruzione della Propria Teoria conseguente il vissuto, estrapolare la funzione Ypsi:

l’avanguardia di conoscenza olistico-autopoietica, di consapevolezza
dell’Universi-parte, noi stessi, di cui disponiamo in quel momento
storico, esistenziale e che il successivo alto P.Si. transmuterà,
transfinitamente.

ANDROGYNUS

Androgynus,
andros
significa uomo
e
gynè
significa donna.

La P.Si. utilizza come riferimento fondamentale la cellula e, in particolare,

la coscienza della cellula.

Il termine Zigote deriva dal greco antico zygôtós, che

significa

unito.

Qui, è utile ripetere che si tratta della cellula che si ottiene dall’incontro-fusione dello spermatozoo con un ovulo (i gameti, maschile e femminile). Lo zigote è la cellula (diploide) deputata allo sviluppo di un nuovo essere umano che, soltanto successivamente, assumerà le caratteristiche di genere, di uomo o di donna. In definitiva, si tratta della formazione di un nuovo organismo, derivante dall’unione di due cellule sessuali (gameti), proveniente ciascuna dal principio maschile (uomo) e dal principio femminile (donna).

Entriamo nel merito.

  1. Lo zigote è la cellula uovo, fecondata dallo spermatozoo. Contiene tutte le in-formazioni genetiche (ereditarie, somatiche e coscienziale) del nuovo essere umano. La fusione dei nuclei dei gameti in un unico nucleo:

è
l’androginia innata
dell’essere umano
o
androgynus
,
in Sigmasofia, simboleggiato dalla lettera Y.

  1. Nei primi due, tre giorni di vita,

l’androginia innata
è totipotente,

ossia nella cellula staminale si riconoscono le in-formazioni innate che possono evidenziare, generare un intero organismo.

  1. Intorno all’ottava settimana, lo zigote acquisisce la morfologia tipica della specie di appartenenza.

All’interno dello zigote, operano in-formazioni, combinazioni di elementi, inscindibili, caratteristici di ciò che, successivamente, denominiamo maschili e femminili. Tutto ciò è innato in ogni singolo essere umano.

L’androginia psicosomatica, di cui sto trattando, indica che in un essere umano esistono component innate comuni ad entrambi i sessi.

Androgynus

deriva da

andros che significa uomo

e

gynè che significa donna.

Secondo l’esperienza diretta, è uno dei denominatori comuni fondamentali di ogni essere umano, in quanto partecipa la natura di entrambi i sessi.

L’Androgynus include ciò che, successivamente, taluni denomineranno

Identità di genere

E che, se non ci fosse l’in-formazione andorginica, non si potrebbe evidenziare.

Androgynus include quello che taluni, successivamente, denomineranno

netta separazione
tra il polo maschile
e quello femminile.

L’unità dello zigote è il fondamento innato di ogni essere umano.

Ciò non ha nulla a che vedere con la famosa

coincidentia oppositorum,

in quanto il concetto di opposti, di separazione è una proiezione interpretativa culturale dell’unito (zigote, che non è mai stato e non è scisso.

L’unità androginica innata dell’essere umano

si evidenzia dallo

Stato E.C.A.

considerato anche, per i motivi detti,

archetipo della
non separabilità.

Come visto, lo stato E.C.A. è sempre esistito ed ha sempre operato nelle funzionalità, nei principi attivi che formano l’essere umano.

Androgynus è completezza di funzionalità innata simultanea. È l’essere umano, è l’unito che include ed evidenzia il duplice, ciò che denomineremo maschio e femmina, che sono sue fluttuazioni, sue creazioni e su cui somministreremo la P.Si.

Non si tratta di ricondurre il due all’uno, la dicotomia, il dualismo, l’enantiodromia all’unità, quanto di riconoscere e di vivere che è in essere il

tre in uno:
lo spermatozoo, l’ovulo e lo spermatozoo+ovulo, ossia
il padre, la madre e il padre+madre detto anche figlio,
la coscienza vissuta della cellula, di Androgynus.

Ogni essere umano è, di fatto, cellularmente e, per in-formazioni innate veicolate,

androgynus!

Ciò significa riconoscere e vivere in se stessi le in-formazioni innate, tecnicamente in grado di generare ciò che successivamente denomineremo l’uomo, la donna e l’uomo-donna.

Chi sono gli androgini, gli uomini e le donne?

Per vivere
l’autonomia fusionale
autopoietica
  • Se ci riferiamo alla partecipazione-osservazione olistica dell’Io-soma di esseri umani già formati, scopriremo che essi, di fatto, evidenziano differenze.
  • Se ci riferiamo alla partecipazione-osservazione olistica dello zigote da cui, successivamente, si evidenzieranno l’uomo e la donna, scopriremo che esso, di fatto, non evidenzia differenze, ma in-formazioni innate, tecnicamente in grado di generare ciò che individuerà in uomo e in donna.

Il processo di differenziazione sessuale che si manifesta prima della nascita di un essere umano, sviluppando organi sessuali interni ed esterni, è la diretta conseguenza, come detto, di in-formazioni innate, presenti nello zigote. Durante il periodo dell’adolescenza, sempre in conseguenza delle in-formazioni innate, si determina la produzione di diversi livelli di ormoni, si formano cellule uovo e spermatozoi.

  • Gli uomini sono differenti dalle donne.
  • Ogni uomo è differente da ogni altro uomo.
  • Ogni donna è differente da ogni altra donna.

Tutte queste differenze si sono potute evidenziare dalle in-formazione, già presenti in Androgynus ma, oltre alle differenze, ci sono anche le somiglianze, la cui manifestazione va sempre ricondotta alle funzionalità innate, all’unito che sto descrivendo.

Riconoscere tali differenze e imparare a viverle è sempre un processo che deve essere agito simultaneamente al riconoscimento di androgynus. In ciò, ritroviamo uno dei fondamenti della P.Si da somministrare, in specifici modi, già ai bambini, perché consente di vivere che, pur essendo differenti gli unni dagli altri, gli esseri umani si evidenziano da:

  • funzionalità androginiche unitarie
  • dall’entanglement coscienziale e microstrutturale, localistico e non locale.

In tale riconoscimento vissuto, individuiamo i principi attivi

dell’autonomia fusionale autopoietica:

  • l’autonomia, l’identità, l’individuazione, le caratteristiche morfologiche del proprio corpo;
  • fusionale è l’entanglement micro-particellare e coscienziale (ecologico-eco-sistemico), da cui si evidenzia angrogynus;
  • autopoietica è l’auto-creazione dalla presa di consapevolezza vissuta di se stessi.

Per questo motivo, nella P.Si., utilizziamo la terminologia
androgino-uomo
e
androgino-donna.

P.Si. e la differenza tra androgino, sesso e genere

Per consentire all’Io-psyché dell’essere umano di interagire, di creare in ogni
espressione dell’esistente.

Androginia, sesso e genere sono parti integranti di una stessa funzionalità complessiva innata e acquisita.

Il sesso è la specializzazione di un insieme di funzionalità biologiche e fisiche che contraddistinguono l’essere femmine, maschi e intersessuali, ma derivanti da funzionalità innate coese, dalle informazioni genetiche unitarie e in azione che hanno saputo evidenziarli.

È a partire da questo che la cultura Sigmasofica ha rilevato una serie di azioni, di stati psicosomatici da agire nel socio-culturale, nell’ambiente, per consentire all’Io-psyché dell’essere umano di interagire, di creare, in ogni espressione dell’esistente.

Tale processo di creazione dell’azione bios-etica autopoietica viene anche denominata

azione androginica,

la remissione definitiva di funzioni che alcune interpretazioni attribuiscono al

genere
(gender, in inglese).

Le azioni bios-etiche, legate all’androginia, rappresentano valori innati funzionali, presenti all’essenza dell’essere umano.

La P.Si. insegna, attraverso l’auto-maieutica, a vivere l’Androgynus e ciò non significa negare le differenze tra androgino-maschio e androgino-femmina, ma vuol dire poter usufruire delle facoltà innate di cui si dispone, per farle ricadere nell’azione quotidiana. Senza tale consapevolezza innata, si potrebbe evidenziare la

Forma identificativa in ciò che denominiamo genere: i compiti, i ruoli sociali, gli usi e i costumi, per tradizione acquisita, abbinati all’uomo o alla donna.

Riassumendo:

  • l’androgynus è lo zigote, è la funzione innata, simultaneamente maschile e femminile, appartenente, inscindibilmente, ad ogni essere umano;
  • il sesso è la categoria biologica già determinata alla nascita dalle in-formazioni presenti nello zigote;
  • il genere è il riduzionismo a categoria culturale, coinvolgente l’Io-psyché, secondo le esperienze acquisite, individuali.

P.Si. e l’identità androginica

Androgino-uomo o androgino-donna
per esprimere azioni simmetriche all’innato

La sommatoria di tutte le esperienze praticate dall’Io-psyché dell’essere umano, dal concepimento al momento attuale, il modo in cui l’Io-psyché riesce ad auto-riconoscersi e a relazionarsi con altri esseri umani è parte integrante di ciò che denominiamo l’identità.

Si forma, vivendo la vita e, in base all’intensità delle identificazioni e delle fissazioni dell’Io-psyché, può rilevare aspetti costanti, ma anche continuamente mutevoli. Senza Androgynus, tale identità non potrebbe evidenziarsi nei modi descritti e in tal senso, l’identità sessuale è sempre emanazione di quella androginica. Voglio comunicare che le interazioni tra some, Io-psyché, cultura, create attraverso relazioni individuali e sociali, interiori ed esterne all’essere umano, sono applicativi, nascenti dall’Androgynus che, a sua volta, ha altre scaturigini.

L’identità androginica-sessuale si presta ad alcune considerazioni:

  • la sessualità biologica del proprio Io-soma ha come costituente di base l’androginia (zigote, in-formazioni innate) e, unitamente a queste, DNA, livelli ormonali, genitali interni-esterni (sesso gonadico), morfologia sessuale del corpo.
  • Di fatto ed inequivocabilmente, per funzionalità innate, l’Io-psyché dell’essere umano appartiene all’identità androginica, da cui si evidenzierà l’identificazione precoce e, di solito, continuativa con l’uno o l’altro genere.
  • Ci si aspetta che l’Io-psyché dell’essere umano, in quanto androgino-uomo o androgino-donna, possa esprimere azioni acquisite, simmetriche o funzionali a tale sua funzionalità innata.
  • Gli esseri umani che istintivamente, emotivamente ed affettivamente ci attraggono, veicolano potenziali orientamenti eterosessuali, omosessuali, bisessuali, in quanto alla loro essenza veicolano in-formazioni che includono tutti questi stati. Sarà l’autodeterminazione-realizzazione di ogni Io-psyché ad assumere che cosa vorrà esprimere, tra tali possibilità.

P.Si. e orientamenti androginici

L’identità androginica
evidenzia l’orientamento bi-sessuale

Secondo i vissuti diretti, esistenti da sempre e più rispondenti al dato di realtà olistica, l’identità androginica evidenzia l’esistenza della possibilità di esprimere

L’orientamento bi-sessuale che comprende quello etero ed omosessuale.

Tale visione olistica non confonde l’identità sessuale, in quanto può includere le naturali e auto-determinate differenze individuali. Se, ad esempio, l’androgino-maschio esprime di essere attratto sia da androgini-maschi che da androgini-femmine, sarà il suo Io-psyché per auto-determinazione a scegliere verso chi orientarsi. Con confusione e conflitto, di fatto, da sempre, vediamo accadere tale funzionalità in tutte le società esistenti, anche se molti non ne sono consapevoli.

Quando riconosce l’esistenza dell’identità sessuale androginica, la sessuologia Sigmasofica si riferisce a funzionalità innate, operanti in noi stessi, che, una volta riconosciute e vissute, se ritenuto opportuno, si potranno mettere in relazione con altri.

L’olos-direzionalità androginica include il maschile e il femminile e sa riconoscere la stessa funzionalità in ognuno.

Scaturendo da tali funzionalità, di fatto, ogni essere umano può auto-determinarsi a vivere i propri contenuti nei modi e nelle forme indicati.

P.Si. e sessualità androginica

Coscienza della cellula
anche e soprattutto nel suo corrispettivo psichico,
da essa inscindibile


Androgynus:
per porre in remissione
il femminismo e il maschilismo

Quando un essere umano, un androgino-uomo o un androgino-donna, per così dire, si innamora e ama sentimentalmente e sessualmente altri esseri umani, esprime sessualità androginica. Tale sessualità può trovare diversi applicativi:

  • se l’androgino-uomo investe la propria sessualità e affettività su un altro androgino-uomo si evidenzia quello che si denomina omosessualità;
  • se l’androgino-donna investe la propria sessualità e affettività su un’altra androgino-donna, si evidenzia una situazione dello stesso tipo;
  • se l’androgino (uomo o donna) investe la propria sessualità e affettività su entrambi, si definisce bi-sessuale.

Abbiamo verificato in modo inconfutabile che:

  1. tali forme di investimento sono esprimibili ed espresse dall’Io-psyché dell’essere umano;
  2. sono facoltà disponibili, per natura;
  3. sono elementi che esprimono la vita-autopoiesi, la salute e la naturale funzionalità.

Il fatto che siano innati consente all’Io-psyché di poter disporne, per auto-determinazione, in qualsiasi modo ritenga opportuno.

Ogni essere umano ha necessità di formarsi, attraverso il vissuto diretto, a se stesso, per scoprire, direttamente, in quale modo agire le facoltà innate di cui dispone, consapevolezza che gli consentirà di auto-definirsi nei modi in cui si auto-riconosce.

Nell’orientamento che sto descrivendo, si ha come effetto la remissione di ciò che viene definita

non conformità di genere!

Infatti, gli esseri umani che riconoscono e vivono l’androginia possono includere e assumere ogni

Identità di genere o ruolo di genere,

in quanto le realtà fisiologiche innate auto-consapevolizzate permettono di includerle. Ad esempio, un Io-psyché può assumere di vivere i modi del genere opposto rispetto a quello, per così dire, assegnato fin dalla nascita.

Si pone in remissione il transgenderismo, in quanto l’identità androginica permette di includere sia il maschile che il femminile, sia il sesso assegnato alla nascita sia quello non in linea. Per auto-determinazione, si può esprimere il ruolo di genere opposto al proprio sesso biologico. Le caratteristiche innate dell’Androgynus includono, effettivamente, tutte le possibilità esprimibili.

Non avrebbe alcun senso identificarsi in un corpo sessuato opposto a quello che si ha, appunto perché lo si sentirebbe in sé, il che porrebbe in remissione anche la necessità di cambiare sesso con l’aiuto di terapie ormonali e di interventi chirurgici: non ci sarebbe quell’esigenza, in quanto si saprebbe di disporre già quanto si sta perseguendo.

Includendolo il maschio-femmina, non è necessario il passaggio transessuale, da maschio a femmina, da femmina a maschio. Lo si può ottenere, abbinando la struttura androginica innata all’identità consapevole di Androgynus.

La consapevolezza realmente vissuta di Androgynus non può tecnicamente manifestare il

disturbo dell’identità di genere:

non dispone degli ingredienti per poter evidenziarla, non può nemmeno nascergli l’idea di quell’interpretazione diagnostica, proiettiva. La questione è semplicemente inerente l’auto-consapevolezza realmente vissuta dello zigote, è la

coscienza della cellula,
anche e soprattutto nel suo corrispettivo psichico, da essa inscindibile.

Non si tratta di nessun presunto disturbo mentale ma soltanto di assunzione formativa a se stessi. Men che meno può evidenziarsi quello che viene denominata

disforia di genere,
(ossia avere un corpo sessuato opposto a quello in cui ci si riconosce),

appunto perché si potrebbe esprimere entrambi.

Sono consapevole che il contesto socio-culturale, politico-religioso, filosofico-scientifico (…) in cui moltissimi esseri umani sono identificati, non facilita tale formazione a se stessi, la presa di consapevolezza delle reali funzionalità innate esistano davvero.

È necessario tenere presente che la definizione dell’orientamento sessuale androginico si basa sull’Androgynus auto-consapevolizzato, condizione innata dell’Io-soma dell’essere umano, il che non ha nulla a che vedere con stati identificativi e fissati sul solo sesso biologico e correlati culturali.

La questione che un transessuale da femmina a maschio sia

  • eterosessuale, se attratto da donne
  • omosessuale, se attratto da uomini
  • bisessuale, se attratto da entrambi (o viceversa)

va in remissione, appunto perché la reale consapevolezza dell’androgynus consente di includere e di esprimere, senza ostacolatori, ognuno di questi aspetti.

La consapevolezza dell’androgynus è, di fatto, transmutatrice del paradigma esistenziale di molti esseri umani. L’accettazione vissuta che le in-formazioni, inerenti il cosiddetto sesso o il genere, sono, per intero, contenute in ogni singola cellula e che questa è inscindibile dall’Io-psyché evidenzia la mancata produzione dello stato psicosomatico, in conseguenza del quale si prova

  • omofobia, paura dell’omosessualità

o

  • trans-fobia, paura del transgenderismo.

Infatti, la cosiddetta omosessualità e la cosiddetta eterosessualità sono ingredienti disponibili all’Io-psyché se riconosco un processo dentro di me, non proietto la necessità di allontanarlo da me, perché diverso.

Nel contesto culturale P.Si., l’omosessualità e la trans-sessualità sono perfettamente riconosciuti come facoltà esprimibili e vissute come consapevolezza dell’innato manifestabile. Si entra nella normalità androginica, olistico-autopoietica e i disturbi, prima indicati, vanno in remissione.

Si partecipa-osserva anche la remissione dei sentimenti di repulsione, di disgusto e di evitamento, di non voler vivere e conoscere parti di sé. Si verifica la remissione di stereotipi e di pregiudizi: si vive la normalità innata, abbinata ad un acquisito simmetrico.

Dopo il raggiungimento di tale consapevolezza, nei gruppi P.Si ho sempre partecipato-osservato la remissione definitiva del pregiudizio verso quelle espressioni.

L’Androgynus è uno stato di autoconsapevolezza che ha radici nell’innato di sempre. Per questo motivo, non ha alcun senso e significato rifiutarlo: è come se l’onda decidesse di non accettare di essere mare, ci troveremmo di fronte ad una forma di scissione schizoide.

Sono consapevole dell’esistenza dell’omofobia, della trans-fobia, della rigidità di normative sessuali per cui si afferma che quelle semplici espressioni dell’Io-psyché sono definite malate, contro-natura, criminogene, perverse (…). Attraverso la pratica della P.Si., si evince che sono proprio quelle interpretazioni proiettive ad esserlo: sono forme di grave psicosi, scambiata per normalità. Ho sentito alcuni religiosi considerare l’espressione delle facoltà innate indicate un disordine morale. Ripeto, l’auto-determinazione disponibile all’I-psyché consapevole dell’Androgynus potrà auto-indicarsi, senza riserve o difese, che cosa assumere per se stesso.

Gli stati di identificazione nel genere e le questioni culturali simmetriche hanno evidenziato in molti esseri umani, in molte tradizioni, comportamenti che privilegiano l’eterosessualità, ossia il fatto che maschi e femmine siano attratti gli uni dalle altre, le altre dagli uni, giungendo a considerare le altre possibilità vietate o criminose. Tali visioni, talvolta, vogliono esportare e imporre l’etero-sessismo.

Paradossalmente, ci troviamo di fronte al fatto che, a livello innato, strutturale, agiamo come Androgynus e, nella manifestazione sensorio-percettiva, molti agiscono come identificazione le solo etero-sessismo, da imporre. Se tali Io-psyché riuscissero a re-integrarsi come funzionamenti unitari, non scissi, leggi e proiezioni sull’omofobia, sull’etero-sessismo e similari entrerebbero, ipso-facto, in remissione.

Quando ha operato con modalità che prevedevano teorie patologiche sulle cause dell’omosessualità, anche la scienza ha indotto, in modo iatrogeno, stress, se non patologie psicosomatiche, specialmente quando taluni somministravano pratiche mediche, particolarmente crudeli, che necessariamente non potevano ottenere alcun risultato, se non quello di indurre maggiori difficoltà al presunto malato.

Soltanto negli anni settanta-ottanta, la maggior parte della comunità scientifica ha deciso di escludere, definitivamente, tali anacronistiche concezioni eziologiche e le pratiche pseudo-terapeutiche che ne seguivano. Formandosi attraverso la P.Si., l’Io-psyché dell’essere umano scopre che i dover essere proiettivi culturali sessuali sono questioni psicosomatiche, ascrivibili al ritardo auto-formativo, ossia dei processi che la pratica formativa, da cui si evidenzia la teoria dell’Androgynus, tenta di porre in remissione.

Si evidenziano due componenti:

  1. tutti gli Io-psyché che non assumono la consapevolezza dell’androginia innata sono costretti, di fatto a identificarsi nel genere;
  2. tutti li Io-psyché che non ne hanno la consapevolezza non possono essere naturali e tendenti verso autoconsapevolezze maggiormente complete;
  3. l’inconsapevolezza, di cui ai punti 1 e 2, dà il via a molti pregiudizi e stereotipi sessuofobici.

Le ricerche pratico-teoriche sull’Androgynus nascono a Sutri (Vt), intorno all’anno 2000, con gli studi sulle diverse concezioni della manifestazione pratica della sessualità, anche in riferimento al Tantrismo e al Fang-pi-shu cinese. Il riconoscimento vissuto dell’androginia non è la conseguenza soltanto di tali studi e ricerche, ma dell’intera pratica P.Si. Uno dei primi risultati che mi sorprese è che la P.Si. non aveva alcun nesso con il femminismo o con il maschilismo, ma rappresentava, al massimo, momenti di passaggio nella formazione a se stessi. La pratica integrale della sessualità, abbinata simultaneamente alla pratica di stati estesi di coscienza (meditazioni dinamiche), mi condusse al vissuto dell’androginia. Quegli studi mi hanno permesso di vivere che è soltanto l’Io-psyché dell’essere umano, indipendentemente dal riconoscersi come uomo o come donna, l’ente che può auto-determinarsi al vissuto di ogni stato psico-somatico. Dietro le identificazioni nelle differenze somatiche e culturali, esisteva il comune denominatore, da cui tuti e con qualunque significato si evidenziavano.

A partire dall’Androgynus, è possibile proporre il modello culturale olistico-autopoietico che include i deversi modi di vivere la propria identità. Come dovrebbe essere ormai chiaro, l’Androgynus non nega, ma include le differenze e tutte le varianti di genere.

I progetti P.Si. di formazione vissuta all’Androgynus, proposti dalla I.S.U. hanno come obbiettivo quanto appena descritto: la propria auto-determinazione-realizzazione, scaturente dalla consapevolezza raggiunta.

Lo sviluppo dell’auto-consapevolezza sessuale è realizzato per auto-maieutica, ossia gli educatori (i maieuti) accompagnano i ricercatori alla presa di autoconsapevolezza.

Non si tratta, ovviamente, di proporre attività sessuali da realizzare in classe o a casa, quanto dell’aiuto aa auto-riconoscersi su quel piano, che i bambini (o gli adulti) esprimeranno per auto-determinazione, quando sapranno creare le condizioni relazionali adatte a realizzarlo.

La scoperta vissuta dell’identità androginica sessuale ci dimostra che l’identità sessuale riduzionista non può, di fatto, essere imposta.

 

P.Si. e la teoria dell’Androgynus

L’Androgynus è
la funzionalità innata
 di ogni essere umano.

Il ricercatore in P.Si., che ha raggiunto il vissuto diretto non intellettuale dell’Androgynus, porrà inevitabilmente in remissione

la teoria del gender.

Gli studi e le ricerche su questo tema sono molteplici e diversi tra loro.

Gli studi e le ricerche pratico-teorici

Non negano le differenze anche biologiche tra femmine e maschi,

ma affermano che

le differenze si evidenziano dallo zigote,
dall’Androgynus psico-somatico

e che questi, a sua volta, si distinguono da altri processi (energetici) anche non localistici che vedremo in un altro studio. Le differenze studiate si sono dimostrate irresistibilmente compatibili, simmetriche all’Androgynus e non poteva essere altrimenti:

ognuno di noi è l’unione inscindibile di spermatozoo+ovulo.

Non si annullano i generi, ma li si alimenta con una forza innata di cui, consapevolmente, non hanno mai disposto.

L’Androgynus
non pone in remissione la famiglia:

l’Io-psyché che vuole auto-determinarsi a viverla, a crearla, ovviamente piò assumere di farlo, essendo comunque consapevole di essere Androgynus. Se possono condurre o meno figli dipende dal loro stato di consapevolezza, di cultura, di in-formazione e ciò non ha nulla a che vedere se sono maschi o se sono femmine.

Ogni essere umano dovrebbe poter usufruire delle stesse leggi, applicabili a qualunque altro, evitando che qualcuno possa sostituirsi al proprio inalienabile e innato principio di autodeterminazione.

Olos-direzioniamo verso uno stile di vita androgynista, per porre in remissione ogni forma di discriminazione, in quanto tale modalità può assumere qualunque genere. Ognuno potrà pensare ad elaborare e a vivere al meglio la propria concezione e consapevolezza sull’androginia, sul sesso, sul genere: ognuno viva e assuma il proprio, se ne è capace, senza sostituirsi all’auto-determinazione altrui.

L’androgynus non è una nuova ideologia,

ma

la funzionalità innata di ogni essere umano.

È ciò che pone in remissione

  • le tesi complottiste, slegate dalla realtà innata, evidenziate da religioni, ideologie, politiche e altro;
  • le identificazioni che proiettano presunte intenzionalità a voler favorire un qualche specifico orientamento sessuale, al posto di altri;
  • gli stereotipi, che, anche con violenza, vogliono impedire le auto-determinazioni altrui, negando una funzionalità presente anche in loro.

L’Androgynus nasce come vissuto che potenzia noi stessi e le auto-determinazioni che assumiamo (famiglia, figli, società, coppie di qualunque tipo, esseri umani). Attaccare Androgynus significa semplicemente auto-mistificarsi, non riconoscere una funzionalità innata, presente in se stessi.

Significa aver paura
di ciò che opera in se stessi.

P.Si. e Olos-direzionalità androginica

Androgynus:
una delle poche certezze
disponibili all’Io-psyché dell’essere umano

La P.Si. olos-direziona verso l’assunzione vissuta del principio attivo di auto-determinazione, un processo disponibile all’Io-psyché dell’essere umano, indipendentemente dal fatto che si riconosca come uomo o come donna. Tale consapevolezza ci ha portato alla

remissione della discriminazione razziale,
dell’identificazione
come solo uomini o come solo donna,

evidenziando la funzionalità innata che siamo androgini-uomini e androgini donne.

I vissuti finora descritti ci indicano che

l’Androgynus è una delle
poche certezze di cui disponiamo,

appunto perché tale consapevolezza evidenzia, in chi sa raggiungerla, la remissione della proiezione dell’odio sessuofobico.

Sono cosciente che la consapevolezza della P.Si. scatenerà gli Io-psyché convinti di essere solo uomini o solo donne, posizionandosi in proiezioni che richiamano la tradizione, mentre, secondo me, si tratta di ritardo nella formazione vissuta a se stessi. È però corretto affermare che posizionarsi contro le proprie funzionalità innate, anche se assurdo, è sempre accaduto: è opera dell’Io-psyché, non consapevole della propria scaturigine localistica e soprattutto non locale, per cui rimane identificato in opinioni acquisite, riduzioniste e non tendenti verso il maggiormente completo.

In definitiva, ribadisco che Androgynus propone
la formazione vissuta integrale alle proprie
funzionalità psico-somatiche ed autopoietiche

e

la simmetria, la coerenza con la funzionalità simultanea dell’acquisito, della cultura, diversa per ognuno, con la scaturigine connaturata:

il fondamento che ci porta, definitivamente,

oltre la teoria del gender.

P.Si. Androgynus e il principio attivo del padre-madre

Un essere umano, che viveva visceralmente l’Androgynus
formante se stesso, disse:
“Voglio portare del
figlio:
In me, lo spermatozoo e l’ovulo, il maschile e il femminile, il padre-madre, uniti, formano
me stesso, il figlio, io sono cellularmente il padre-madre!
Sono la risultante della loro unione,
quella che dà continuità di vita-autopoiesi”.
Tutti, per generazioni e generazioni, possiamo affermare
Io sono padre-madre,
in una continuità di azione e di vita senza interruzione.
siamo la stessa funzionalità innata in azione.
noi apparteniamo a noi stessi, parte inscindibile di Universi,
è Universi-parte.
In noi riconosciamo facoltà coscienziali da esprimere e
produciamo auto-determinazione.
Produciamo consapevolezza
e custodiamo l’auto-consapevolezza raggiunta,
che dimora nella coscienza.
Ognuno è identità, individualità, individuazione differente,
ma simultaneamente
è l’innato da cui si evidenzia.
La vita è transfinitamente in azione.
Siamo l’azione funzionale a consapevolizzare i principi attivi, costituenti la vita-autopoiesi,
creiamo
coscienza e conoscenza olistico-autopoietici.

La pratica P.Si. permette di vivere il

significato-significante della figura dell’androgynus, del padre-madre,
del maschile-femminile:

è la risultante di trent’anni di sperimentazioni.

Presenterò risultanze di casi, da me personalmente seguiti, riguardanti ricercatori che hanno testimoniato esperienze significative intorno alla figura dell’Androgynus, del padre-madre, del principio maschile-femminile. La maggior parte dei casi illustrano stati distonici, discrasici come ansie, stressor, attacchi di panico, seri problemi e conflittualità nella relazione con le figure genitoriali.

Per questo studio, estrapolerò quelle che si riferiscono alla figura del padre-madre, tenendo comunque conto dell’androginia di cui tali figure sono parte integrante e inscindibile.

Durante la pratica formativa P.Si. vengono puntualmente fuori dinamiche, inerenti la madre e il padre: l’androgynus.

Il riferimento alle figure genitoriali è strutturato nel Maieuta che conduce e che include consapevolmente in sé la componente maschile e quella femminile per cui è in grado di riconoscere nell’altro il maschile e il femminile. Ha sviluppato tale capacità, anche in riferimento alle proprie figure genitoriali o essendo egli stesso genitore.

In questo setting, le figure genitoriali vengono sempre nominate, verbalizzate, in quanto ogni ricercatore ha in sé l’introiezione dei principi attivi, innati e acquisiti, di quelle figure.

Androgynus, padre; Androgynus, madre

Le facoltà sono dell’Io-psyché
e non dell’uomo o della donna.

Per comprendere che cosa sia il principio maschile del padre e il principio attivo della madre, dal punto di vista P.Si., è necessario tenere conto di Androgynus.

Viene utilizzato il termine androgino e non ermafrodita, in quanto l’ermafrodita è colui che possiede entrambi gli organi sessuali e l’essere umano non ha quelle caratteristiche, sebbene in lui sia riconoscibile l’androgynus cellulare, microstrutturale e coscienziale.

L’androginia non è necessariamente implicata nella riproduzione sessuale, ma può giocare un ruolo nell’orientamento sessuale. Infatti, il riconoscimento vissuto di tale androginia, da parte di alcuni esseri umani, è stato interpretato come indicatore di bisessualità.

La pulsione dell’uomo a ricercare la donna e della donna a ricercare l’uomo, in generale, è nascente dall’azione, dalla spinta dell’interezza innata, veicolata da ognuno, anche se non se ne è consapevoli. L’interezza che i generi pensano di trovare nella ricerca del proprio opposto complementare, per unirsi, attraverso ciò che si denomina riproduzione sessuata, amore, in realtà, come visto, già agisce, ancora non consapevolizzata, alla radice essenziale dell’Io-soma, come Androgynus, e oltre.

Se la condizione di androginia dovesse eventualmente evidenziarsi nel corpo sensibile (ermafroditismo, presenza fisica di entrambi gli organi) non potrebbe che essere letta e vissuta come simmetrica alla condizione innata, segno di non scissione tra innato e acquisito (manifestazione sensibile). Si tratta di evidenziazione di funzionalità simultanea, esattamente come la cellula fa e indica. È il potere olistico-autopoietico dell’unità che sottende dietro la scissione uomo, donna, soggetto e oggetto (…), quella che ci fa riconoscere le cose illusoriamente come separate l’una dall’altra e non come realmente sono: una funzionalità simultanea.

Portiamo ora l’attenzione dall’androgino, all’androgino-uomo, padre: dal greco pater, parola che include il significato di proteggere e di nutrire.

In generale è, unitamente alla madre, uno dei genitori in grado di creare il figlio, attraverso il rapporto sessuale.

Per creare il figlio, il principio maschile deve fecondare l’ovulo, veicolato dal principio femminile. Per poter realizzarlo, deve essere capace di eccitazione, di mantenere l’erezione e di penetrare la donna e di emettere il seme fecondante. Quelle descritte sono facoltà innate, disponibili al principio maschile, al padre in particolare: mi riferisco alla

facoltà di penetrare, di produrre energia, forza, di essere fertile.

Allo stesso modo, il principio femminile, della madre, ha come caratteristica la facoltà di

essere aperta, di lasciarsi penetrare e fecondare, nonché di esprimere
la facoltà di creare.

Per penetrare, il maschile deve assumere di essere forte e assertivo nel portare a compimento la fecondazione (ma anche nel portare a compimento un progetto, un lavoro, una relazione, uno studio…).

Essendo il figlio formato dall’unione del padre-madre (la struttura androginica) ossia formato da entrambi i principi come la cellula ci indica, entrambi

veicolano potenzialità e
facoltà dell’altro principio.

Ovviamente, sia il principio maschile sia quello femminile veicolano altre facoltà e funzionalità, oltre a quelle indicate. Per questo motivo, lo stereotipo dell’uomo penetrante (attivo) e della donna penetrata (ricettiva) devono riconoscere estensioni, ampliamenti, in direzione dell’androginia di tali facoltà. Ciò, in considerazione del fatto che sia il principio maschile sia quello femminile sono stati a loro volta generati dai loro genitori e quindi, anche l’uomo ha partecipato, come cellula, al parto e, attraverso il corpo della madre, ha partecipato, vissuto la costruzione di se stesso. quindi, no si può affermare che la capacità di creare e di generare sia specificità della donna: l’uomo non può partorire, dicono molte donne.

L’Io-psyché partecipa la stessa androginia della cellula, infatti psyché e soma sono inscindibili: per questo, vediamo manifestarsi tali principi attivi sia nell’androgino uomo sia nell’androgino donna.

Le facoltà sono dell’Io-psyché
e non dell’uomo o della donna.

L’androginia dell’Io-psyché utilizza le diverse componenti cerebrali, cioè gli emisferi, la neocorteccia, il sistema limbico, quello rettiliano (…) e le diramazioni lungo la colonna a livelli di formazione elevati, può utilizzare consapevolmente e simultaneamente tutte le parti appena indicate.

Il fatto che il principio maschile possa veicolare attitudini, orientamenti, talvolta prevalenti rispetto ad altri, appartenenti alla donna, va sempre interpretato come emanazione dell’androginia che sia il padre sia la madre veicolano.

I principi, potenzialmente esprimibili da parte di detta androginia, appartengono ad entrambi i generi, ma culturalmente è accaduto che taluni siano stati utilizzati maggiormente dal maschile rispetto ad altri utilizzati di più dal femminile.

Per l’archetipo maschile, è possibile riferirsi ai concetti di padre, di lavoratore, di scienziato, di religioso, di sportivo, di edonista, e così via.

Durante i sogni, tali principi attivi trovano evidenza in immagini, create dal soggetto sognante stesso, per cui la propria cultura acquisita ha giocato un ruolo che talvolta copre significati-significanti e immagini innati.

Come visto, il maschile è inscindibile dal femminile, cellularmente e coscienzialmente parlano. In questo senso e con questi significati, il principio maschile può esternamente riconoscere il proprio opposto-complementare nel principio femminile, ma tale azione coscienziale di riconoscimento è funzionale per riconoscere in se stessi entrambi i principi. L’androginia che esprimiamo.

Riassumiamo.

Per quanto concerne gli esseri umani, il padre è, quindi, l’uomo che insieme a una donna nella riproduzione sessuata, genera il figlio. A questa unione, di padre+madre, da cui si evidenzia padre-madre, ossia il figlio, si è riconosciuto, culturalmente, il nome di famiglia. Esistono, di fatto, il padre e la madre biologici, ossia coloro che hanno concepito, ma può accade che le funzioni di mamma e di papà vengano svolte da altri.

In generale, se l’accudimento nelle prime fasi di vita è compito della madre, al padre si richiede la presenza e la con-partecipazione attiva a tale fase (non può allattare al proprio seno, ma può con-partecipare a tutte le altre esigenze, nessuna esclusa).

Tale con-partecipazione olistico-autopoietica attiva evidenzia una componente del principio maschile, paterno, del cosiddetto padre olistico-autopoietico che potrebbe non coincidere con quello biologico. Quando i liberi ricercatori in Sigmasofia parlano del padre, si ascoltano frasi del tipo: “Per me, quello non assume il ruolo di padre”, quindi ci si riferisce al padre che non assume di con-partecipare integralmente la pedagogia e la psicagogia da somministrare al figlio. Quando, invece, assume quella responsabilità si dice che protegge, che garantisce il soddisfacimento dei metabisogni, che ascolta per capire e risolvere, senza giudizi, che sa produrre stati di rilassamento olistico-autopoietico, ma può anche produrre ritmi intensi e funzionali: sa produrre conoscenza.

Sto evidenziando facoltà disponibili all’Io-psyché dell’essere umano, indipendentemente dal genere, ma per esigenze di questo studio le abbino al principio maschile, al padre. Durante un incontro di Sigmasofia Io-somatica, un ricercatore così verbalizzò:

“Vorrei un padre come te. Mio padre non è così”. Si riferiva alla figura del padre presente, giocoso, forte che sa penetrare le situazioni, che sa decidere e risolvere, che sa offrire riconoscimento diretto, vissuto da chi lo riceve, come esclusivo. Questo accade perché il ricercatore, trasferendo su di me propri stati di coscienza (bisogni, desideri…) nel modo descritto, qualunque cosa io faccia, di fatto, in quella fase, ni vive come esclusivo. Sente e individua tutto ciò per il semplice fatto che si tratta di una componente che in quella relazione c’è, in quanto, da maieuti, si opera e si orienta in stato di fusionalità vissuta con il ricercatore e questo è da lui sentito, intuito e, soprattutto, lo vorrebbe realizzare in sé. C’è da notare che tale stato è agito e presente nel maieuta anche quando, durante l’azione, ci si rivolge ad altri.

Durante gli incontri di Sigmasofia Io-somatica, le lotte, i giochi forti, intensi, dinamici, di solito, vengono vissuti come quelli realizzati dalla figura paterna, dal principio maschile: si manifesta, così, il bisogno di forza, di penetrazione, di intensità, dinamismo, caratteristiche che si vorrebbe veicolare e che, a volte, non si sono ricevute abbastanza.

Spesso, si evidenzia la necessità di potenziare ulteriormente tali principi e facoltà. È il bisogno di affermazione, di assumere la capacità simbolico-reale di creazione, di generare il figlio, di penetrare con la conoscenza: facoltà che, ovviamente, possono essere espresse anche dal principio femminile, in ultima partecipazione, dall’androginia. Voglio comunicare che, pur essendo facoltà dell’Io-psyché, indipendentemente dal genere, si può talvolta partecipare una prevalenza nel cosiddetto maschile. Penetrare e creare il figlio veicola, in quel modo, anche la sensazione, il vissuto di sentirsi accettati, riconosciuti dall’opposto-complementare, il principio femminile.

Io sono il figlio e sono qui, in conseguenza di atti del padre-madre,
quindi, di conseguenza, in qualche modo sono stato voluto e con le
intensità che il padre e la madre hanno saputo trasmettersi-mi.

È possibile re-incontrare, ri-vivere queste intensità, durante le autopoiesi Io-somatiche, investendo, in specifici modi, la figura simbolico-reale del maieuta che conduce il gruppo. Mentre investe i propri stati di coscienza sul maieuta, nei vissuti liberi, accade che ciò che è liberamente investito dal ricercatore è quanto ha effettivamente dentro, anche se l’oggetto su cui proietta è una figura simbolica (di qui la definizione simbolico-reale). È importante creare la situazione affinché il ricercatore possa esprimere spontaneamente, senza difese, quanto ha dentro e in modo vissuto, al di fuori del linguaggio: se è all’interno di ciò che investe, per lui quel vissuto è significativo, in quanto esprime realmente ciò che ha all’interno di sé. In questo modo, l’investire ha valore anche abreagente e consente di essere ri-elaborato in diversi modi, in quanto il modo di essere ricevuto, di essere accolto dal Maieuta non è lo stesso del padre-madre: è infatti,

decolpevolizzante, aperto, non castrante, facilitante l’espressione della
pulsione che si sta investendo, per creare la condizione della sua
espressione integrale.

Non può non esserci un legame con colui che ha agito l’azione biologica, che ha inserito il proprio liquido seminale nell’ovulo, formando lo zigote, di cui siamo evidenza. Quando i ricercatori manifestano la necessità di esprimere principi maschile hanno, inizialmente, bisogno del principio maschile esterno, come strumento per riconoscere lo stesso principio interiormente: hanno in mente il

principio che funziona, efficace, creatore,
quello che produce soddisfazione all’azione.

Paradossalmente, anche la figura del principio maschile, non veicolante i principi di solito cercati, è allo stesso modo importante, in quanto, per opposto, ci fa vivere, ci fa riconoscere quella che si sta cercando. Vedremo come entrambe, successivamente, dovranno essere riconosciute come nascenti da altre funzionalità innate. In ogni caso, durante le Autopoiesi Io-somatiche, si creano le condizioni per far vivere tutte e tre le funzioni, quelle creative, quelle ostacolanti e i principi attivi da cui il creativo e l’ostacolante nascono. Per fare ciò, ci vuole del tempo tecnico per la realizzazione dei vissuti.

È accaduto che alcuni ricercatori abbiamo segnalato di aver creduto produttive, creatrici, penetranti, efficaci, azioni del padre che, poi, si sono rivelate veicolanti intenzionalità opposte: “Sembrava tutto accettabile, efficace e per questo non potevo assumere critiche, opposizione, e mi sono trovato poi improvvisamente di fronte a forme di castrazione che evidenziarono altre intenzionalità” (da verbalizzazione).

Di solito, viene riconosciuto come figura maschile paterna, non efficace e non creatrice, quella che impedisce la libera espressione del proprio campo istintivo-emozionale, la pulsione a congiungersi, che non permette la realizzazione di proprie intenzionalità. Questa figura maschile che dice no e che può potenzialmente dirlo, per qualunque intenzionalità, bisogno-desiderio, è quella che pone dei limiti all’azione che si vorrebbe esprimere: ciò da molti è vissuto come castrante, come introiezione di azioni ostacolanti, bloccanti, inibenti.

Il padre è il principio maschile in azione: nelle verbalizzazioni delle persone che seguono gli incontri pratico-teorici, è possibile rilevare tale interpretazione. Il figlio, talvolta, si aspetta che il padre si occupi esclusivamente di lui con continuità e, quando invece si occupa di sé, della propria vita, della compagna, del proprio piacere, di altro, viene vissuto come castrante il proprio desiderio di esclusività. Quando il padre, il principio maschile, esprime la stessa proiezione di esclusività continua, l’incontro di simbiosi di intenzionalità tra padre e figlio, di solito, non produce significative aperture dell’Io-psyché. Infatti, si tratta di uno stato che, di solito, genera conflitti nella relazione, perché i due, pur partecipando esclusività continua, immettono in essa visioni differenti, in quanto sono identità differenti (per storia, esperienze, vissuti…). Ciò accade anche perché tale esclusività continua, talvolta, spinge l’Io-psyché, non adeguatamente formato, ad identificarsi in essa, il che determina anche la difficoltà a relazionarsi con altri. Può accadere che possa trovarsi ad aggredire relazioni che instaura con altri principi maschili, che non evidenziano le stesse intenzionalità che sta cercando, in quanto differenti da quelle vissute nello stato di esclusività continua con il padre. In tale situazione, alcuni non sanno riconoscere che l’esclusività continua determina stati di disagio, di non sopportazione inconscia di non poter aprirsi ad altri, anche se in qualche modo sentito (da verbalizzazione).

Ci sono innumerevoli casi che richiedono molteplici vissuti e tempi di ri-elaborazione: è il momento analitico-autopoietico, che applichiamo durante gli incontri e che, se ben agito, facilita l’assunzione del vissuto, al di fuori del piano verbale. Le tecniche psicosomatiche proposte consentono di affrontare un vissuto per volta e, in tale progressione, il ricercatore prende atto del proprio stato di consapevolezza, potenziandolo. In tale percorso, accade che si possa iniziare ad assumere opinioni, consapevolezze che si differenziano da quelle vissute nell’esclusività o in altri modi. Ciò significa che avere consapevolezze e opinioni differenti non significa necessariamente separazione e abbandoni, ma significa assumersi il principio di auto-determinazione-realizzazione della propria azione di vita esistenziale.

Un caso.

  1. segue gli incontri di Sigmasofia Io-somatica, da anni. Riferisce difficoltà di relazione con altri uomini, che sembra scegliere per competizione, per confliggere con loro, fatto che gli è sempre accaduto, senza eccezione alcuna.

In sala, vive i rapporti con gli altri uomini cercando il mio sguardo, che spera sia di approvazione. Io, per tutta risposta, esaspero l’indifferenza, per consentirgli di vedere, in diretta, soltanto la propria azione e i suoi effetti, senza approvazioni o divieti. Prende coscienza dell’inadeguatezza di quegli effetti reiterati e decide di correggerli.

Il padre creatore è quello che determina le condizioni affinché si realizzi la crescita naturale, olos-direzionale del figlio, quella che consente di sviluppare la propria intenzionalità di vita. Ciò significa essere consapevoli, da pare del padre-madre, di aver superato le proprie frustrazioni, vissute con i propri genitori: significa aver sviluppato consapevolezza e coscienza olistica. Il fatto che io, genitore, non sia andato a scuola, che non abbia fato quello che volevo fare, non significa che debba proiettare la mia frustrazione sul figlio: si tratta di rispettare i principi di auto-determinazione-realizzazione del figlio, la sua intenzionalità, senza ostacolatori. Il figlio non è il prolungamento di se stessi, la riparazione ai propri fallimenti, non è il proprio pene, attraverso cui creare la realizzazione dei propri desideri.

Si può affermare che la figura del padre creante è quello che accetta e assume di esserlo, che sente visceralmente e senza proiezioni che il figlio evolva e che si autonomizzi, pur mantenendo il collegamento innato, che tende a non ostacolare e a determinare, qui ed ora, il suo diritto-dovere di prendere coscienza dei significati-significanti dell’esistenza.

Androgynus e il piano simbolico-reale

Androgynus
stato unitario
pre-manifestazione
degli opposti-complementari

Il tema del prominente, dell’ente che può penetrare è talvolta riscontrabile nel registro simbolico-reale del padre. È uno degli aspetti che può contribuire a spiegare affermazioni che alcuni esseri umani segnalano lungo il cammino di consapevolezza.

Simboli come la spada, la lancia, il bastone sono stati segnalati come immagini percepite nel profondo coscienziale, su cui sono stati proiettati significati-significanti fallici, attribuiti prevalentemente alla figura maschile.

Unitamente a quello femminile, il principio maschile si forma nell’Io-psyché dell’essere umano anche nei suoi significati-significanti acquisiti, culturali. Ogni Io-psyché comunica, vede, si relaziona con qualcuno che denomina padre, fratello, amico, in tutte le manifestazioni interpretate come positive o come negative. Il principio maschile non è il polo opposto-complementare del femminile, in quanto è ad esso integrato in modo inscindibile e, micro-strutturalmente, già funzionante simultaneamente.

Ogni Io-psyché può esprimerli, appunto perché da secoli sono stati trasmessi di padre-madre in figlio e sono stati introiettati da ognuno. Dalla mia ricerca, si evidenzia l’androginia dell’Io-psyché come veicolante ontos-sophos-logos (essere, saggezza, scienza), ossia la formazione di consapevolezza veramente androginica che non si limita ad essere la mera riduzione-collasso nella identificazione nel solo genere maschile o femminile.

Ogni Io-psyché può riconoscere in se stesso, nei principi maschili e femminili che veicola, la sommatoria più proprietà emergente di tutte le esperienze radicate dal concepimento al momento attuale, ma anche la sintesi di tute le impressioni, vissute ed ereditate dalla catena padre-madre-figlio che lo hanno preceduto e di cui è l’espressione ultima. Sono espressioni molteplici d’immagini che ogni Io-psyché proietta, trasmette all’altro e che possono innescare risonanze, simmetrie, discordanze, passioni, indifferenze.

L’androginia si evidenzia durante la crescita, rispecchiandosi in tutte le figure maschili e femminili che si incontra, con cui ci si relaziona. Ed è per questi motivi che ritroviamo tali immagini nei sogni, rappresentati in modo positivo o negativo, a seconda del grado di autoconsapevolezza dell’Io-psyché che le produce.

Vediamo che cosa gli studi sigmasofici mostrano sulla reintegrazione del principio maschile con quello femminile.

Nella sua manifestazione coscienziale, l’androginia dell’Io-psyché è una formazione di fisiologia di principi attivi innati che nulla hanno a che vedere con l’intenzionalità acquisita. Tali principi innati esercitano influenze sugli stati coscienziali, sull’azione, funzionalità che possono essere agite e proiettate su chiunque e con qualunque valenza.

Riunendo il maschile e il femminile innato e acquisito, l’Io-psyché è
l’ente che può riconoscere, vivere l’inconscio individuale-collettivo e
olistico-autopoietico innato.

Così come penetra la vagina, il principio femminile, per analogia si è investito tale funzione in oggetti: esistono, infatti, abbinamenti sessuali tra la morfologia del pene e alcuni oggetti che gli somigliano o che, per loro funzione, sono tecnicamente in grado di evidenziare funzioni penetranti.

C’è da affermare, però, che proseguendo con la formazione vissuta a se stessi e avvicinandosi, quindi, alla consapevolizzazione dell’androginia innata, si riconosce che maschile e femminile sono già inscindibilmente uniti, motivo per cui, durante il vissuto della relazione fusionale, va in remissione la pulsione a penetrare, appunto perché la si trova e la si riconosce inclusa nella fusionalità funzionale che, lì, si vive. Tale fusionalità olistico-autopoietica estesa, di non separabilità, in antichità è stata rappresentata attraverso la divinità denominata Pan (che, etimologicamente, tra l’altro, significa Tutto).

Anche se assume la morfologia di onda, l’oceano unitario che la esprime resta tale: fuor di metafora, anche se si evidenzia come genere maschile e femminile, l’onda, l’Universi-parte (noi stessi, resta tale. La propria essenza coincide con l’individualità olistica dell’Universi che troviamo alla radice di ogni Io-psyché, di ogni essere umano. Essendo tutto atomicamente e coscienzialmente legato, accade che ognuno sia già parte integrante e, quindi, più che nel tono, più che nell’empatia con l’altro da sé, è soltanto lo stato di scissione e di identificazione nel genere, nel proprio Io-psyché acquisito ciò che non premette di riconoscere l’unità. Di qui, accade che la natura innata segua il proprio corso funzionale e che l’Io-psyché acquisito, non consapevole, identificato nella propria cultura e nei propri significati, ne segua altri, evidenziando stati di scissione collettiva tra l’acquisito e l’innato, quasi da psicosi di massa: è uno dei principi di base della P.Si. da reintegrare.

Fermo restando che i riferimenti acquisiti fondamentali sono il padre-madre-figlio e i loro significati-significanti acquisiti, è possibile affermare che tale struttura a Ypsilon, la famiglia, ha come scaturigine

Il determinismo olistico-autopoietico,

che ha saputo creare la manifestazione sensibile e gli esseri che la popolano, processo ignoto alla consapevolezza di molti ricercatori, di moltissimi esseri umani. L’Universi ha dato vita alla parte, fluttuazioni che, così come sono state emesse, vengono riassorbite: in questo istante, migliaia di esseri umani stanno nascendo e migliaia stanno morendo, simultaneamente, e questo per determinazione dell’Universi, di cui siamo parte: Universi-parte. Ma, la nascita e la morte sono la testimonianza dell’essere in vita-autopoiesi dell’Universi, che allo stato è transfinito, ossia in modo mai finito, in vita. Nel sensibile, troviamo ridotto e collassato tale processo: la nascita, l’evoluzione e il punto morte. Visto dal punto di vista dell’essere umano stesso, c’è un inizio (la nascita), l’esistenza in vita nel corpo (l’evoluzione) e il punto morte (la fine) se tale processo è visto localisticamente, si legittimano la vita (punto nascita) e la morte (punto morte), come processi scissi, spazio-temporali, ma, se poniamo l’attenzione sulle funzionalità innate dell’Universi, il suo essere transfinitamente in vita-autopoiesi include e trascende l’inizio e la fine, la dualità vita-morte.

Il principio maschile e quello femminile sono parte integrante delle funzionalità descritte e, quindi, il loro stato identificativo ci indica un sentiero possibile da seguire, quello verso il ritorno alla consapevolizzazione dell’androginia, dell’esser transfinitamente in vita-autopoiesi, integrato alle funzionalità vita-morte acquisite. Tale reintegrazione delle funzionalità sensibili con quelle sovrasensibili è un altro dei principi attivi pedagogici e psicagogici da vivere. Da questo stato di auto-riconoscimento funzionale, la pedagogia localistica, proposta dalla coppia genitoriale, cambierebbe necessariamente i paradigmi di riferimento, dando vita, di conseguenza, a innovative forme di partecipazione della natura della relazione umana.

Tali modi di essere sono stati da sempre, in diversi modi, rappresentati dall’iconografia mondiale del maschile e del femminile.

L’androgino-uomo può manifestare stati di coscienza che interpreta come positivi o come negativi, sempre nascenti dalla componente creatrice innata, tecnicamente in grado di creare condizioni a cui, dopo, verranno attribuiti significati e valenze. Lo stato di creazione olistico-autopoietica è pre-manifestazione degli opposti-complementari e dei loro significati, positivi e negativi che siano. Non esiste un aspetto creatore e uno distruttore, separati dalla fisiologia autopoietica, tecnicamente in grado di creare entrambi. Voglio comunicare che un altro dei fondamenti pedagogici è quello di orientare il figlio, se stessi, alla presa di consapevolezza dello stato unitario pre-manifestazione degli opposti e di iniziare a vivere tali opposti-complementari, immersi in tale consapevolezza.

L’Universi evidenzia la vita e la morte nella parte: per questo, se tale processo è visto come identificazione nella sola parte, di solito, spaventa, intimorisce. Per questi motivi, troviamo tali processi nelle figure maschili e femminili, come principi che danno e tolgono la vita, anche sul piano meramente psicosomatico. È interessante osservare come si ritrovi il percorso verso l’androginia olistico-autopoietica dell’Io-psyché, indipendentemente dal genere, nei processi auto-formativi psicosomatici dell’essere umano, anche se taluni non se ne rendono conto.

In ogni caso, durante gli incontri P.Si., la proiezione della figura maschile e femminile e quella dell’androgino si riscontra pressoché sempre: al riguardo, dispongo di migliaia di prove, di vissuti. Dietro gli stati consapevoli o problematici espressi, si celano sempre dinamiche relative al padre-madre-figlio e all’androginia, da cui si evidenziano e che veicolano. Gli incontri di Maieutica psicosomatica esprimono sempre passaggi con l’ambivalenza, con la dualità amore-odio, vita-morte, potenza-impotenza, giovane-vecchio, e così via. Dopo aver vissuto entrambe le componenti dicotomiche, ecco che il ricercatore si apre alla visione unitaria, quella che trascende e si emancipa da ogni identificazione-fissazione nella dicotomia, positiva o negativa.

Il maieuta è l’androgino simbolico-reale e rappresenta un possibile luogo in cui cercare la conoscenza, di cui ancora non si dispone: per questo, molti, per così dire si fidano del Maieuta, il che significa che stanno esprimendo la propria pulsione innata verso la conoscenza e sperano che, attraverso quella figura, possano crearsi le condizioni per viverla. La mancanza di consapevolezza che le funzionalità, la conoscenza che si cercano nel maieuta, nello psicoterapeuta, nell’esperto, in ultima partecipazione-osservazione risiedono in noi stessi, nelle prime fasi del setting, spingono il ricercatore a proiettare aspettative, risposte da quelle figure. Quindi, di fatto, il maieuta dovrà saper contenere in sé tale aspettativa proiettata e, nel rispetto del tono, da dentro, orientare verso la transmutazione. Pur traslando e proiettando, il ricercatore, in realtà, vuole prendere consapevolezza dentro di sé di tali processi, inizialmente vivendo problemi, patologie, difese. Sente di aver bisogno di aiuto, ma, dietro, c’è sempre la volontà di autonomia, di realizzazione diretta, anche in casi di trasferimento, di proiezioni, di identificazioni totali: si tratta di quei casi in cui, quando avviene la conversione dell’identificazione, si manifesta molto chiaramente l’espressione dell’autonomia, dell’identità, dell’emancipazione Il setting della Sigmasofia Io-somatica risolve alla radice il problema, la proiezione, proponendo appunto l’Ars maieutica sigmasofica, per cui si assume che l’Io-psyché di ognuno dovrà formarsi, vivere se stesso e far nascere, estrapolare da dentro di sé le consapevolezze che cerca. Il Maieuta predispone il tessuto, è il facilitatore, affinché questa auto-determinazione, auto-consapevolezza possa avvenire realmente. È lo stesso orientamento che proponiamo alla pedagogia olistico-autopoietica e alle figure del padre-madre e del figlio.

Accade che con il principio di auto-motivazione e di auto-determinazione, ognuno possa, di fatto, entrare in se stesso, riconoscersi e, via via che scende, incontrare l’androginia e le funzionalità innate comuni a tutti: dopo aver attraversato l’individuale scisso, è quello il reale luogo di incontro non proiettivo, conseguenza della risalita a se stessi, l’Universi-pare. Accadono due processi fondamentali: per auto-determinazione, il ricercatore riconosce, attraverso il vissuto, la propria individualità, identità irripetibile, la valorizza, la nutre al massimo grado e, simultaneamente, vive la fusionalità di essere androgino, Universi in stato di entanglement fisico e coscienziale, in stato inscindibile olistico-autopoietico, che include quanto descritto: uno dei principi attivi trasmessi dalla pedagogia sigmasofica. Quello che il ricercatore vive è il legame che non si può sciogliere, incarnato dal padre-madre, che dietro ha funzionalità ecologiche innate.

L’essere parte integrante dell’ambiente in cui respiriamo, di cui ci nutriamo, non si può sciogliere, eliminare, esattamente come non si possono non soddisfare i metabisogni legati alla continuità di vita del corpo fisico, in cui ci riconosciamo, quali il mangiare, il bere, il dormire, il respirare, il congiungersi e la pulsione autopoietica a vivere che, di fatto, sottendono sempre qualunque azione volta a soddisfare i bisogni-desideri che l’Io-psyché esprime. Il padre-madre, per natura, crea il figlio, veicolatore di metabisogni autopoietici che, a loro volta, nascono da funzionalità innate che troviamo in ogni essere umano. Il padre-madre natura è l’Universi, che si evidenzia, attraverso automatismo autopoietico, come manifestazione sensibile e sovrasensibile e tale facoltà autopoietica di evidenziazione non distingue tra i cosiddetti opposti-complementari, tra le parti: semplicemente le crea, le evidenzia, non vive differenze tra abili e disabili, tra belli e brutti, tra amore e odio, (…). Li crea.

Veicolando tale conoscenza intuitiva, il maieuta, in qualche modo e in qualche misura, attrae l’attenzione del ricercatore, formato dalle stesse realtà funzionali, anche se non ne è in quel momento consapevole. Questo spiega le folgorazioni, le attrazioni potenti che talvolta si suscitano nei ricercatori: riconoscono e possono riconoscere quelle funzioni al maieuta, perché semplicemente le veicolano, sono le stesse che operano in loro, anche se, ripeto, inizialmente, non ne sono consapevoli, ma si attivano delle risonanze, delle simmetrie che si sentono, si intuiscono (da verbalizzazione.

La P.Si. propone molteplici attività di ricerca, di cui la stragrande maggioranza è inerente il volontariato e, quindi, gratuite, tranne quelle formative, per motivi di sopravvivenza della Sigmasofia stessa (come ente strutturato, organizzato. Malgrado tale organizzazione, i ricercatori in formazione che, a prestazione ricevuta, devono corrispondere una piccola quota di denaro, hanno quasi sempre dei dubbi:

Ma, questa formazione la fai per me
o la fai per denaro?

Un dubbio, per taluni, veramente sentito come molto importante, malgrado la disponibilità ventiquattro ore su ventiquattro, per almeno dieci anni, affermata al primo colloquio, malgrado tutti i servizi siano legati al volontariato, malgrado la disponibilità ad aprire alle loro verifiche ogni settore, anche quello economico, il tarlo, il dubbio si manifesta. Ciò significa che tale stato discrasico è presente in loro, indipendentemente da quello che si fa e si propone.

Anche se la risposta è semplice, è detta verbalmente e con i fatti, ciò sembra per molti non essere sufficiente. Da quanto dicono, questo dipende dal fatto che molti non si sono sentiti riconosciuti, accettati, ascoltati durante le relazioni con le figure genitoriali. Il bisogno del loro Io-psyché, in primis, è quello di essere ascoltato integralmente, coinvolgendo l’Io-soma-autopoiesi complessiva. Al bisogno di essere ascoltato, si aggiunge quello di essere riconosciuto integralmente e non di essere giudicato nelle proprie intenzionalità e azioni, il che, per loro, significa sentirsi accettati. La cosa interessante ì che, molti, sentendo garantita tale empatia e tono, riducono la proiezione sui dubbi formativi, inerenti il fatto che la presenza del pagamento di una quota significhi inficiare in qualche modo il discorso formativo-conoscitivo. In altri casi, il dubbio permane, a significare che tale insicurezza affettiva e bisogno di accettazione, di riconoscimento incondizionato, è veramente intensa. Quando sono coinvolti tali sentimenti considerati profondi, i ricercatori si aspettano, vogliono attenzione vera: per questo motivo, nelle prime fasi, il volontariato, il rispetto del tono dei sentimenti è totale. Il fatto di inserire, ventiquattro ore su ventiquattro, disponibilità e volontariato gratuito rinforza la fiducia che, comunque, in continuazione testano, mettono alla prova, per verificare se è proprio vera e poter affermare: “Posso proprio contare su quel maieuta”. Ed è lo stesso stato che si tenta di formare in loro stessi in modo che il loro Io-psyché viva la stessa dedizione verso se stesso e, di conseguenza, da uomini-donne poter trasmetterlo al figlio, all’altro.

Il Maieuta-docente sigmasofico assume sempre la propria consapevolezza androginica di integrazione dei due principi in unità funzionale e tratta quella condizione che, di fatto, è già il figlio (unione di padre più madre), come funzione vitale, per intero parte integrante delle proprie cellule, delle microstrutture, della coscienza: ancora una volta, la stessa condizione da traslare al cosiddetto esterno da sé. Agire consapevoli di tale condizione androginica significa sempre agire azioni reali, non simboliche, verso se stessi, perché è proprio quello che si sta vivendo, condizione sempre riconosciuta dal ricercatore in formazione che si trova, in quel setting, a vivere la dimensione simbolico-reale. La dimensione è simbolica, perché, ricordiamo, quello che si investe e si trasferisce sul maieuta sono stati di coscienza che non finiscono sul padre-madre-reali, ma, nello stesso tempo, reale, in quanto ciò che investono esattamente quello che sentono nei confronti dei loro genitori reali: di qui, la nascita del registro simbolico-reale sigmasofico. Se non ci fosse quella reale androginia vissuta, vera, ad accoglierli, il setting assumerebbe valenze meno efficaci. La disponibilità ventiquattro ore su ventiquattro, abbinata al volontariato, non ha mai suscitato eccessi da parte dei ricercatori o confluenze invasive. Tranne casi isolati, i ricercatori esprimono richieste dosate, raramente invasive, che si autoregolano. Ossia, la consapevolezza di ognuno veicola, implicitamente, le possibilità di relazione di avanguardia e il limite del momento; allo stesso modo, l’Io-psyché del maieuta, in quella differenza di avanguardia di consapevolezza, riconosce un possibile terreno di rincorsa. Ciò significa che il ricercatore riconosce, sente che in quella relazione c’è la possibilità di apprendere, di riconoscere: se ciò non avvenisse, troverebbe meno motivazioni o non ne troverebbe nessuna e non entrerebbe in quel setting- allo stesso modo, nella vita: se l’Io-psyché non riconoscesse che ci sono molte cose ancora da vivere, vivrebbe una riduzione della motivazione a esistere. Tipico è lo stato di chi sente che tuto ciò che fa è senza senso, non riconosce più significati a esistere e si demotiva. Siamo parte integrante dell’Universi che, allo stato della ricerca, è transfinito (mai finito). Similmente, quando si entra nella coscienza collettiva e autopoietica, non si riconoscono né si vivono confini, anch’essi transfiniti. Se si riesce a trasmettere, a intuire, a vivere tale realtà innata, è la condizione stessa che crea il terreno di rincorsa, di ricerca, utilizzabile da tutti_ altro principio attivo che soltanto l’androginia dell’Io-psyché riconosce, vive e può somministrare come principio pedagogico. Ho riscontrato che tale aspetto, spesso trascurato, se ben trasmesso, è una sorta di fusione nucleare, di pulsionalità, di spinta, anch’essa transfinita. In qualunque situazione o significato di vita, quell’Io-psyché troverà la motivazione, l’energia a ricercare, a transmutare, a vivere. Tale consapevolezza pone in remissione i concetti di limite e di possibilità, che servono come azione propedeutica, in favore dello stato di ricercatore sui significati-significanti dell’esistenza e dell’Universi interiore-esterno. Un simile riconoscimento è uno degli ingredienti dello stato di coscienza che denominiamo volontà.

Veicolando forme di autoconsapevolezza, che il ricercatore intuisce come appartenenti al maieuta e che il figlio riconosce come prevenienti dal padre-madre, accade che quell’Io-psyché, motivato alla ricerca, voglia penetrare tali figure. Lo scopo è conoscere, vivere le consapevolezze che lui sente ancora di non aver raggiunto: questo spiega la voglia, la pulsione di entrare sempre più, in qualche modo di inglobare in sé il maieuta, il padre-madre, la conoscenza, anche tentando di entrare in componenti cosiddette private. Questo, se ben orientato, non è un meccanismo di fuga dall’approfondimento, bensì la voglia di entrare e di conoscere: l’attenzione da porre è quella di gestire la volontà del ricercatore, quando, entrando in profondità, tenta di ricondurre alla propria consapevolezza, alle proprie modalità, al proprio modo di agire e di vedere le cose del mondo. La gestione di tale processo è vitale, in funzione dell’efficacia della Maieutica sigmasofica, della pedagogia somministrabile dal padre-madre.

La P.Si. si occupa di liberi ricercatori sulla coscienza e sulla conoscenza e di stati di autoconsapevolezza d’ingresso, non di patologia d’ingresso. Un esempio: le cosiddette nevrosi e psicosi eventuali non vengono trattate in base ai protocolli previsti per quelle patologie psicosomatiche, ma lette e riconosciute nello stato di autoconsapevolezza d’ingresso complessivo, che include quelle manifestazioni, denominate in quel modo. Se l’obiettivo è la ricerca sulla coscienza della conoscenza, da ampliare, l’intervento si baserà soltanto sul porre in remissione ciò che impedisce tale raggiungimento, gli stai cosiddetti patologici vengono trattati come ostacolatori, da vivere, risalire, transmutare, per evitare che blocchino la conoscenza, la consapevolezza che include lo stato di benessere, di cosiddetta guarigione.

Il principio del padre-madre-figlio integrato, consapevolizzato, consente di partecipare-osservare l’ostacolatore psicosomatico, in modo da no identificarsi nel sintomo-patologia, ma di gestirlo come contenuto, incluso tra tanti ed è proprio tale condizione che, se effettivamente raggiunta, può ridurre e gestire le somatizzazioni come l’ansia, l’angoscia. L’attacco di panico (…). Lo stato identificato e fissato i quegli stati patologici, di fatto, non aiuta a risolverli, a porli in remissione. Per questi motivi, il setting sigmasofico è sempre allargato e prevede molteplici iniziative, finalizzate alla conoscenza, anche quelle che non sembrano, inizialmente, direttamente collegate alla psico-somatizzazione ostacolante che si vuole porre in remissione. Per esempio, sul piano dell’autoconsapevolezza, il ricercatore manifesta stati di scissione, di separazione tra il proprio Io-psyché olistico e la psico-somatizzazione-identificazione-fissazione: una forma di psicosi, spesso non vista dal ricercatore. Per questo motivo, la proposta molteplice e diversificata determina due effetti: il potenziamento dell’auto-consapevolezza dell’Io-psyché e, simultaneamente, la diversità delle proposte può stimolare l’emergenza di tali stati psicotici ostacolanti, facendolo in modo dinamico e non in uno spazio ristretto che, di solito, determina maggiori effetti iatrogeni che il setting allargato, per specifici motivi, riduce.

P.Si. genitorialità e omo-genitorialità

Non si tratta di
interpretazioni dell’uomo sul ruolo della donna e di
interpretazioni della donna sul ruolo dell’uomo.

Sostanzialmente, per omo-genitorialità s’intende l’interazione tra i figli biologici o adottati e una coppia di essere umani dello stesso genere sessuale (nell’accezione comune).

In primis, è possibile affermare che se la genitorialità è somministrata da uno stato di auto-consapevolezza pedagogica e psicagogica vissuta, da Androgynus, non si riscontrano differenze, neppure minime, tra omo-genitorialità ed etero-genitorialità.

L’orientamento sessuale non ha nulla a che vedere con l’essere genitori adeguati e consapevoli, in quanto entrambi possono creare orientamenti vissuti verso la coscienza e la conoscenza esistenziale. Anche la salute Io-somatica dei figli non ha nulla a che vedere con l’orientamento sessuale dei genitori, per questo motivo le potenzialità di crescita consapevole e in-formata sono identiche.

In base alle funzionalità naturali conosciute, come già detto, per creare un bambino ci vogliono l’ovocita e lo spermatozoo, ossia ciò che denominiamo il principio maschile e il principio femminile. Se due esseri mani dello stesso sesso decidono di avere un bambino, sanno che dovranno tenere conto di quella legge naturale, constatando che l’incontro sessuale tra esseri umani dello stesso sesso non produce il figlio (ad oggi, non c’è evidenza conosciuta di ciò), dovranno, per natura, far incontrare l’ovocita e lo spermatozoo in un modo diverso da quello sessuale, dovranno rivolgersi alla riproduzione non sessuata! Taluni esseri umani, veicolanti le concezioni appena indicate, scelgono di diventare, per così dire, genitori di figli nati da precedenti relazioni sessuate, etero, del partner. Si ha testimonianza, inoltre, di altri che adottano un figlio, concepito biologicamente ma poi rifiutato da altri genitori, etero, sempre utilizzanti la riproduzione sessuata. Altre testimonianze ancora ci dicono che, esattamente come fanno le coppie etero che non possono avere figli, è possibile ricorrere alla fecondazione assistita.

Anche se esistono diversi modi di diventare genitori, anche se il concepimento non coincide con la genitorialità, è un fatto che il figlio sia formato dall’ovocita e dallo spermatozoo.

Molti si chiedono:

  • Chi è il vero genitore?

Per iniziare a rispondere a questa domanda, dobbiamo chiederci chi sia il genitore: il genitore è sempre un essere umano, androgino-uomo, denominato padre e un essere umano, androgino-donna, denominato madre. Non ci sono assolutamente dubbi che i veri genitori biologici vadano individuati nell’androgino-uomo che ha prodotto lo spermatozoo e nell’androgino-donna che ha prodotto l’ovocita! Il fatto che esiste la genitorialità adottiva, ossia che i genitori non abbiano creato biologicamente il figlio, non ha nulla a che vedere con la realtà che i genitori biologici siano quelli indicati. Il fatto di considerare i genitori adottivi alla stessa stregua di quelli biologici è soltanto una convenzione socio-culturale, affettiva e giuridica, sovrapposta all’atto biologico.

La legge (quindi la convenzione), oggi, rende prioritaria la relazione dei figli con entrambi i genitori (anche indipendentemente, nel caso questi convivano o siano separati). Tale convenzione ha senso e significato, se ci si riferisce ai genitori biologici, in quanto, veicolando cellule che sono lo spermatozoo e l’ovocita di quei genitori, il figlio potrebbe, legittimamente, auto-determinarsi a mantenere la correlazione e la simmetria con loro, appunto perché loro diretta emanazione. Negli altri casi, tale obbligatorietà verso la relazione con entrambi i genitori, assume un altro significato. Non essendoci la simmetria biologica, ma soltanto relazioni acquisite di accudimento, emozionali, culturali (…), il figlio potrebbe auto-determinarsi a mantenere simmetrie, correlazioni con entrambi, con uno solo di essi o con nessun o dei due: voglio evidenziare che l’orientamento legislativo affidamento condiviso dovrebbe essere maggiormente riflettuto. In tal senso e con questi significati, anche il single potrebbe adottare, allevare, accudire (..) un essere umano-bambino.

Come abbiamo visto, due esseri umani dello stesso sesso non generano un figlio, quindi hanno bisogno di altri che lo generino per loro. In ogni caso, ognuno dei due può legittimamente riconoscersi come principio che può generare e, quindi, può anche produrre intenzionalità a voler somministrare un orientamento pedagogico in modo adeguato, se ne è in grado.

Il padre e la madre sono quindi indispensabili per creare lo zigote e la componente psichica inscindibile dallo zigote stesso, tanto che, appunto perché inscindibili, anche la psyché veicola l’androginia riscontrabile nella cellula. Sì, il principio maschile e quello femminile sono ugualmente importanti per il figlio, ma, dalle consapevolezze biologiche, sappiamo che ogni essere umano, formato da cellule, di fatto, veicola, sia somaticamente che coscienzialmente Androgynus, l’unione dello spermatozoo con l’ovulo, anche se successivamente sarà definito come uomo e come donna. Quindi, ogni singolo essere umano, se attraverso il vissuto diretto matura tale consapevolezza, potrà trasmetterla per simmetria nell’acquisito, nell’azione quotidiana.

L’essere umano veicola il metabisogno congiungersi (che include l’affettività e la sessualità e la pulsione autopoietica a vivere e a conoscere (fisiologia degli stati psicosomatici producibili). Questo spiega la spinta verso la paternità o la maternità, presente in ogni Io-psyché: con questo processo, infatti, l’essere umano si garantisce la continuità di padre-madre in figlio, il fondamento di ciò che culturalmente e convenzionalmente denominiamo famiglia nucleare. Considerato che spesso la genitorialità si esprime nella famiglia, sono necessarie alcune riflessioni su questa istituzione.

Si evidenzia che lo zigote esprime tre enti in uno (uno e trino. Di conseguenza, il padre+madre, coincidendo biologicamente con il figlio, maturano la legittimità biologica di occuparsi del figlio. Ogni essere umano è, quindi, un androgino specializzato nel proprio genere che veicola la pulsione, appena indicata. Quindi, la pulsione della genitorialità che biologicamente è il padre+madre si trova in ogni Io-psyché e, per questi motivi, si manifesta.

Teniamo tale fatto biologico distinto dal concetto acquisito convenzionale di famiglia, che, oltre a quanto etimologicamente riferito, significa che due o più individui vivono nella stessa abitazione per vincolo matrimoniale o per convivenza o rapporti di parentela.

La struttura a struttura Y, di fatto, forma l’unità di base della funzionalità biologica umana che, solo successivamente e convenzionalmente, è stata abbinata alla famiglia, al concetto esteso di genitorialità. È Androgynus, è la struttura a Y l’unità di base che andrà a comporre la società (e non la convenzione famiglia, che è soltanto una delle possibili forme organizzative di tale struttura innata, il sangue del figlio è creato dal padre+madre, il che evidenzia una forma di legame consanguineo, fatto biologico, non metafora, processo che non ha nulla a che vedere con legami legali, come il matrimonio o l’adozione.

Non è la famiglia che riproduce la società, ma Androgynus. Evidenzio questo fatto naturale, innato, il che non significa che, una volta nato, il figlio non possa essere accudito e curato in diverse forme, nulla importa se lo vuole fare un single, una coppia dello stesso sesso o etero, o più persone: l’importante è che si formino all’auto-consapevolezza necessaria per poter farlo con efficacia, fermo restando il diritto-dovere del figlio, di conoscere, ove possibile, la realtà biologica, innata, da cui si evidenzia.

Le forme organizzate sovrapponibili ad Androgynus sono diverse. Ne indico alcune:

nucleare, estesa, multipla, consanguinea, mono genitoriale, omo-genitoriale, coniugale che, a sua volta, si suddivide in monogama, poliginica, poliandrica, poliginandrica. Ma, se si partecipa-osserva attentamente, tutte si evidenziano dalla biologica struttura a Y, che è il riferimento.

Da qui, discende una possibile dichiarazione universale dei diritti non dell’Uomo bensì dell’essere umano, che dovrebbe così esprimersi:

  • androgini-uomini e androgini-donne hanno il diritto naturale alla coniuctio, alla struttura a Y, in base alla quale poter fondare una delle organizzazioni indicate, senza alcuna limitazione di etnia, di cittadinanza, di religione. Essi hanno uguali diritti riguardo ad Androgynus e ai modelli organizzativi scelti, anche all’atto del loro scioglimento;
  • Androgynus potrà essere agito in modo con-partecipato, consensuale;
  • Androgynus è il nucleo biologico naturale e fondamentale della società e ha diritto di essere protetto e tutelato dalla società e dallo stato.

Nel momento in cui il figlio prende coscienza di non essere il figlio biologico di due persone dello stesso sesso, ma soltanto di uno o di nessuno dei due, nella stragrande maggioranza dei casi si chiede:

  • Chi è l’altro genitore?

Nel caso di figli di coppie lesbiche, è accaduto anche che chiedessero:

  • “Ma chi di voi due mi ha partorito?”

Se nessuna delle due lo è, talvolta domandano:

  • “Chi è mia madre biologica?”
  • “Chi è mio padre biologico?”

Nel caso di figli di copie gay, è accaduto che chiedessero:

  • “Ma, chi è mia madre?”
  • “Chi di voi due è il mio padre biologico?”
  • “Chi sono mio padre e mia madre biologici”

Quella assenza di consapevolezza di chi sia il padre-madre biologici è un’assenza di consapevolezza dell’Androgynus e questo è sempre uno spazio ostacolante, potenzialmente discrasico (patologico).

Con genitori dello stesso sesso, sul piano acquisito, accade che non ci siano più i cosiddetti due ruoli, infatti l’androginia cellulare e coscienziale è un Io-psyché che, potenzialmente, può produrre qualunque stato di coscienza e significato-significante, sia cosiddetto maschile sia cosiddetto femminile. Da tale consapevolezza androginica, se realmente raggiunta, ognuno dei genitori può trasmettere al bambino entrambi i principi che consentono la fase identificativa, imitativa (…). Questo è confortato dal fatto che, anche se i genitori sono dello stesso sesso, di fatto., ognuno ha storia, esperienze e consapevolezze differenti. Vivendo, il bambino imparerò a conoscerli nelle loro differenze, nelle loro componenti e attitudini, interpretate come maschili e femminili.

Ripeto.

Si tratta soltanto di consapevolezza da raggiungere, che nulla ha a che fare con l’orientamento sessuale della coppia, appunto perché si tratta di un raggiungimento ottenibile dall’Io-psyché, indipendentemente dal genere da cui è veicolato. Osserviamo in donne attitudini maschili e in uomini attitudini femminili, e altro.

Non si tratta di interpretazioni dell’uomo, del ruolo della donna e viceversa, in quanto la struttura a Y, inequivocabilmente, ci prova che, dietro la specializzazione di genere agisce l’Androgynus; non si tratta dell’uomo che si finge donna, ma dell’androgino uomo che esprime liberamente la propria componente femminile, e viceversa.

Anche se accade che il padre provenga dalla provetta e sia sconosciuto e riconoscibile come un seme anonimo da fecondazione eterologa, quello che andrà a concepire è un androgino uomo o donna. Questo incide sulla conoscenza della storia acquisita del padre: per quanto concerne la struttura Y, la ritroverebbe in ogni sua singola cellula ed è l’auto-consapevolezza vissuta di quel livello che potrà rivelargli insights intuitivi, riguardanti il padre biologico. Al massimo, mancherebbe la possibilità di poter estrapolare in-formazioni sul momento del concepimento, quando la propria storia attraversa un momento significativo, elemento che con l’eterologa non c’è.

Tutto ciò non incide in maniera particolare nella crescita del figlio, infatti chiunque componga la coppia sterile veicola anch’egli una propria androginia e un Io-psyché, che quindi diverrebbe la storia acquisita del figlio eterologamente generato.

In ogni caso di genitorialità, la figura del padre-madre dovrebbe avere un volto, non fosse altro per avere più in-formazioni sulle proprie origini. Esistono casi in cui la si prescinde totalmente dalla presenza di un padre e tale procreazione è aperta a madri single o lesbiche, casi in cui il padre scompare, ma, per i motivi indicati di conoscenza di sé, dovrebbe essere sempre noto.

Possiamo quindi riconoscere la genitorialità come innata e acquisita, dove quella innata coincide con quella biologica e quella acquisita con gli esseri umani che si prendono cura di quell’essere umano, detto figlio.

In tale quadro, possiamo leggere la genitorialità acquisita come la relazione del figlio con uno, con due o con più esseri umani che lo hanno curato, si sono occupati di lui, il che potrà avvenire in base all’auto-determinazione e all’auto-consapevolezza veicolata da ognuno. L’interesse del figlio è, quindi, emanazione dell’auto-determinazione e dell’auto-consapevolezza raggiunte (il fatto che quei genitori acquisiti convivano o non convivano acquisisce rilevanza straordinariamente minore). Per i genitori acquisiti, non ha molto senso e significato il principio di bi-genitorialità, se questa è evidenza di un dato convenzionale precostituito, acquisito, appunto.

Quando il bambino è molto piccolo, assume rilievo e significato la responsabilità educativa e di cura, compito per il quale ogni genitore acquisito dovrebbe provvedere con una propria e adeguata formazione e preparazione specifica. Il primo, fondamentale, compito saper provvedere alla soddisfazione dei metabisogni del figlio.

Al soddisfacimento di essi, si integra quello per cui il genitore educa, offre affetto, istinti-emozioni, apprendimento, necessari al naturale sviluppo integrale del bambino.

La genitorialità deve essere consapevole dei principi pedagogici e psicagogici anche d’avanguardia, che intende somministrare.

Per tale operazione si richiede autoconsapevolezza vissuta e questa può essere potenzialmente prodotta sia del single, che dalla coppia o da più esseri umani, indipendentemente, quindi, sia dal numero sia dagli orientamenti sessuali: tutti sono potenzialmente in grado di somministrare cure, amorevolezza, difesa e protezione dai pericoli e così via.

Quindi, sia per chi procrea direttamente, sia per chi usa altri sistemi, è richiesto il principio di responsabilità a tale assunzione.

Tutti, potenzialmente, possono assumere la genitorialità.

L’essere cresciuti da genitori lesbiche e/o gay, esattamente come l’essere cresciuti da coppia etero o da single, ha le stesse possibilità di efficacia o di inefficacia il che dipende soltanto dal grado di formazione vissuta e di auto-consapevolezza raggiunta.

Anche per questi motivi, la cosiddetta legalizzazione del matrimonio tra persone dello stesso sesso è irrilevante, nel senso che ognuno potrà assumere, liberamente, se stipulare un contratto matrimoniale o meno, ma questo non ha nulla a che vedere con la somministrazione e la consapevolezza di una pedagogia-psicagogia adeguata. Uno stato laico, degno di questo nome, se proprio vuole reiterare la convenzione matrimonio, dovrà semplicemente mettere tale istituto a disposizione del cittadino, non importa se etero o omossessuale o quant’altro, in quanto l’orientamento sessuale riguarda soltanto l’auto-determinazione personale.

  • Quindi chi è il “vero” genitore: quello biologico o quello che assiste e cura il figlio?

Entrambi: quello biologico, per natura, quello acquisito, per pedagogia.

Per sopravvivere, per vivere, i bambini non hanno genericamente bisogno di un padre o di una madre, ma devono poter soddisfare metabisogni, bisogni-desideri psicosomatici, integralmente, indipendentemente da chi consenta questo, nelle fasi in cui è necessario.

Partecipando-osservando più profondamente la questione, ci rendiamo conto quindi che non esiste la genitorialità etero o omosessuale, ma soltanto la genitorialità, nell’accezione indicata.

Sia i bambini che vivono con due madri o con due padri sia quelli che vivono con un padre e una madre possono, potenzialmente, produrre gli stessi raggiungimenti di interazione consapevole con se stessi e con il sociale. Peraltro, bambini con un padre e una madre non adeguatamente consapevoli possono produrre ritardi nell’apprendimento, nella consapevolezza.

In definitiva, la questione ha a che fare con la consapevolezza vissuta dei genitori che, se realmente in circolo, potrà essere somministrata con efficacia e quindi formare, educare, in modo adeguato, quei bambini all’interazione sociale, ai ruoli e all’identità convenzionalmente attribuiti al genere, all’intelligenza, all’auto-consapevolezza, alla risoluzione delle disfunzioni istintivo-emozionali, e così via.

L’assunzione del proprio orientamento sessuale riguarda il principi di auto-determinazione di ogni essere umano, di ogni io-psyché e, se il soggetto non evidenzia e non chiede aiuto per una eventuale discrasia Io-somatica inerente tale questione nessuno ha il titolo di poter sostituirsi a lui ed etichettarlo in modi pregiudiziali e discriminatori, in tal caso, si dovrà intervenire su questi Io-psyché, ancora non formati, alla remissione del pregiudizio e della discriminazione, proiettati sull’orientamento sessuale altrui. Sono proprio tali orientamenti che contribuiscono a indurre stressor nell’altro, lo stesso che presumono di voler contribuire a porre in remissione.

La questione, quindi, non è stabilire se gay, lesbiche, etero, bi, transgender, androgini siano idonei o meno ad essere genitori, bensì considerare se l’Io-psyché ha assunto di formarsi adeguatamente a se stesso, fino a produrre appropriate in-formazioni olistiche, vissute, sulla genitorialità, da trasmettere.

 

P.Si e il parto-olistico autopoietico o lotus-birth autopoietico

Sei nato da sempre.
Buon viaggio, Androgynus!

La pratica e la teoria della P.Si. realmente realizzata può indurre l’Io-psyché dell’essere umano a intraprendere un nuovo viaggio, sentendo di essere ri-nato a se stesso, può assumere di proseguire il transfinito viaggio della Y, di padre-madre in figlio, creando il figlio con modalità più ecologiche. Scelgo una di queste he come simbolo è il

lotus birth autopoietico.

Entriamo.

In trent’anni di ricerca, ho verificato, ormai centinaia di volte, che la

natura innata è perfettamente auto-organizzata
a creare ogni pare-Universi,
compreso l’essere umano.

Tutte le valutazioni culturali non simmetriche a tali funzionalità innata e risultano esser un ostacolatore al naturale fluire ecologico: lo si riscontra anche al momento del parto.

Il parto olistico-autopoietico è il modo naturale, ecologico, simmetrico all’innato, per vivere la vita che sta nascendo.

In sostanza,

il cordone ombelicale non viene reciso e il neonato resta
un corpo unico con la placenta, da cui si dischiude.

Infatti,

la natura non ha previsto l’intervento chirurgico
per distaccare il cordone
,

ma ha semplicemente previsto un tempo in cui

il cordone naturalmente si stacca da solo,

il che ha un senso e un significato e, in ogni caso, è espressione della natura che ci ha creati, se lasciamo la natura innata, prenderemo coscienza e vivremo che il cordone si separa in modo naturale dall’ombelico, in quattro-cinque giorni, massimo dieci. Tutto ciò avviene naturalmente e serve per consentire al neonato, per così dire, di

ricevere tutto il sangue placentare, assolutamente necessario
a potenziare il sistema di difesa immunitario.

Dopo nove mesi di vissuto fusionale, in osmosi con la madre, in ambiente chiuso, è ovvio che la natura abbia previsto un modo naturale di adattamento alla nuova condizione vedremo come quel tempo di naturale e progressivo distacco sia fondamentale per lo sviluppo naturale dell’io-psyché, simultaneo al corpo (fanno pare dello stesso processo). In ogni caso, in quel tempo, tuti i bisogni divenuti autonomi e che prima venivano sodisfatti attraverso il corpo della madre, hanno il tempo tecnico di assestarsi, di stabilizzarsi: respirazione, evacuazione, alimentazione …. In tal modo, la madre prende coscienza di come i metabisogni e bisogni del neonato si manifestino e di come la fusionalità osmotica trovi un’altra evidenza funzionale che sarà necessaria alle relazioni future. È la fase del

bonding olistico-autopoietico Sigmasofico.

Bond, infatti, dignifica legare, collegare, vincolare, incollare, cementare e caratterizza la prima fase fondamentale della pedagogia olistico-autopoietica che, di base, va dal momento del concepimento al momento del distacco naturale del cordone ombelicale. In ogni caso, il bonding autopoietico processo unico e inscindibile prosegue, ma la prima fase è di fondamentale importanza, per questo motivo la distinguiamo. Consapevolizzare tale unità funzionale esistenziale, durante la quale si allatta, si culla, si gioca con il neonato, inserisce principi acquisiti da pare della madre e del padre che possiamo considerare significativi:

sono le basi della sensibilità e dell’ipersensibilità comunicativa.

Il parto olistico-autopoietico consente alla placenta, per così dire, di terminare la sua funzione come fonte di alimentazione e di nutrimento del neonato.

La placenta è

l’albero della vita.

Si forma e completa entro il terzo mese di gravidanza ed è formata dallo stesso materiale genetico del bambino: si tratta dello stesso DNA, per cui

placenta e nascituro funzionano simultaneamente
e non sono, come taluni affermano, risonanti.

La placenta, sostanzialmente, assolve alle funzioni che, dopo la nascita, assolveranno i reni, il fegato, i polmoni, gli ormoni, e così via. Ribadisco:

placenta-bambino sono la stessa cosa ed evidenziano capacità di
sviluppo e di crescita.

Il cordone ombelicale è solcato da tre vene, con un’estremità è unito all’ombelico del bambino e, con l’altra, alla placenta

che, a sua volta, è pare dell’utero della madre.

Al momento del parto, il cordone fuoriesce dalla vagina e rimane attaccato alla placenta. Accade che, dopo la nascita, il bambino inizia a respirare con i propri polmoni e l’ossigeno, che arrivava dal cordone, va  in remissione. Successivamente, la placenta, l’albero della vita si stacca dall’utero e fuoriesce anch’essa dalla vagina. Quindi,

alla nascita del bambino, di Androgynus,
segue la nascita della placenta.

A questo punto, si pensa che si debba procedere al taglio del cordone che,

in ogni caso,
non andrebbe effettuato prima che anche la placenta sia nata.

A questo punto, è necessario affermare che anche in questo caso non si procederebbe in modo naturale: che senso può avere, infatti, clampare, pinzare il cordone in due punti, in modo da arrestare il sangue che fluisce nelle tre vene, attive all’interno?

Clampare, pinzare non è un processo naturale.

E, poi,

tagliare il cordone potrebbe comportare
l’insorgere di pericolose infezioni,

nel caso non si usino strumenti sterili (motivo, per cui, nel mondo muoiono migliaia di bambini). E anche dove si utilizzasse una fiamma di candela per sterilizzare, non si tratterebbe, comunque, di un sistema naturale di recisione del cordone!

Le procedure di lavare, pesare, vestire (…), in quei momenti, sono di seconda necessità! Non sto affatto parlando dei

benefici del taglio ritardato del cordone,
come dichiarato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, quanto di
non toccarlo affatto.

Sto affermando che è necessario lasciare fare la natura e aspettare che il cordone si stacchi dall’ombelico spontaneamente, soltanto dopo alcuni giorni. La natura stabilisce, per funzionalità a lei intrinseche, che il bambino resti unito al cordone e questo alla placenta, per i giorni necessari.

Durante quei giorni, il neonato può essere vestito, il cordone fuoriesce dal pannolino e dalle tutine e la placenta sarà trasportata insieme a lui, in un contenitore, con dei panni di spugna, utili ad assorbire i liquidi.

Durante la nanna, la si posiziona al fianco del bambino.

Come già accennato, si vivrà che il cordone si staccherà in tre-sei giorni, massimo dieci, ma può accadere anche dopo die. In ogni momento, si potrà procedere al taglio del cordone, il che non è naturalmente necessario.

Vorrei dare ora altre indicazioni su come trattare l’albero della vita, fino al momento in cui si staccherà dal cordone ombelicale.

Il cordone tenderà a seccarsi fino a diventare simile ad uno spago molto duro.

La placenta è di forma rotonda, è carnosa e deve essere asciugata bene dal sangue, con della carta assorbente adeguata. È preferibile lasciarla esposta all’aria, nel contenitore adeguato (cestino di vimini sterilizzato, con dentro panni di spugna, asciugamani). Al secondo giorno, è necessario trattarla con del sale, per consentire all’albero della vita di disidratarsi più velocemente, per ridurre eventuali odori e la proliferazione di organismi. Con il trascorrere del tempo, la placenta diviene più piccola. Nella prevalenza dei casi,

emette un odore naturale molto gradevole.

Quando naturalmente il cordone si staccherà,

resterà l’albero della vita, la placenta, con un lungo filo attaccato.

A questo punto, i ricercatori in Sigmasofia potranno procedere con

Il rituale dell’albero della vita:

si pone la placenta alle radici di un albero, appositamente scelto; la si lega con il cordone-spago e si procede con il piantare il tutto nel terreno. I genitori procederanno con l’accudimento della pianta dell’albero della vita del proprio figlio e la accudiranno, nella crescita, esattamente come faranno con il figlio.

Per poter realizzare il parto olistico-autopoietico, è necessario utilizzare il

parto in casa,

anche se in alcuni casi ciò è stato attuato anche in ospedali sia pubblici che privati.

In caso di taglio cesareo, suggeriamo, ovviamente, di affidarsi alla scienza medica.

Le motivazioni del parto olistico-autopoietico:

  • impedire alle proiezioni acquisite dell’essere umano di modificare le funzionalità naturali e di evitare infezioni, in caso di utilizzo di strumentazioni chirurgiche non sterili;
  • ripristinare il naturale bonding olistico-autopoietico;
  • evitare che, con il taglio del cordone, il bambino venga staccato dalla madre e manipolato da più persone: infermieri, medici, nonni, zii, zie, amici e similia consente di non numerarlo, con un braccialetto al polso per riconoscerlo da altri, nelle camere-parcheggio di anonimi, ospedali
  • determinare una continuità di fusionalità tar mamma-papà e bambino, garantendosi, per una decina di giorni dopo il parto, il contatto fusionale empatonico, fondamentale per cerare solide basi affettive, di intimità, di bonding olistico-autopoietico.

Il sacchettino, attraverso cui si trasporta la placenta, di fatto, disinvoglia dall’uscire di casa e stimola uno stile di vita più consono al vissuto del neonato durante i suoi primi dieci giorni di vita. Questa fase, ben gestita, impedisce l’insorgere di altre infezioni, eventualmente producibili dalla placenta.

La condizione del bonding olistico-autopoietico disinvoglia dal dare al bambino oggetti sostitutivi del corpo materno (peluche, ciucci e similia) in quei giorni, quella condizione induce la madre ad essere continuamente presente,

rendendo così naturale l’inizio di autonomizzazione del neonato.

Si prepara, in tal modo, il terreno per la somministrazione della fondamentale pedagogia-psicagogia olistico-autopoietica, la cui impronta caratteriale iniziale è quella del riconoscimento della

necessità di lasciar fare l’ecologia,
la natura innata,

e di creare azioni consapevoli ad essa simmetriche e non culturalmente devianti.

Si determina la formazione della cicatrizzazione naturale perfetta.

È utile partecipare-osservare che, praticando il parto olistico autopoietico, non è necessario medicare la placenta e il cordone, in quanto non ci sono evidenze che possano generarsi infezioni e i tempi di rigenerazione sono molto più veloci.

La placenta dovrà essere sempre ben lavata con acqua e prodotti naturali e ben asciugata e cosparsa di sale marino grosso (è possibile non utilizzarlo, in quanto si tratta soltanto di un conservante naturale che ne facilita l’essiccazione). Si possono mettere oli essenziali e preferire l’esposizione all’aria. È interessante partecipare-osservare come la natura abbia previsto la salvaguardia della placenta, se resta attaccata al cordone ombelicale-bambino: infatti, in quel modo, per così dire, appassisce, si prosciuga.

La placenta non è individuabile come veicolo id infezioni, infatti, i batteri che ricoprono il bambino sono quelli presenti nella madre e questo avverrebbe, comunque, con taglio del cordone o senza. Anche se non pulsa, il cordone ombelicale veicola processi vitali-autopoietici.

È possibile confezionare una borsa con la tracolla, nella quale inserire l’albero della vita e seguire gli accorgimenti sopra indicati.

Nei giorni di attesa del distacco naturale, la madre e il bambino vivono uno stato di continuità fusionale che facilita l’allattamento.

La placenta non pesa più di 600 grammi ed è veramente interessante osservarla approfonditamente, per scoprire elementi da cui è nata la

concezione dell’albero della vita:
il cordone è il tronco dell’albero che si erge dalle arterie e dalle vene
(i rami, le diramazioni).

 

È interessante lasciarsi andare a quella percezione-meditazione e visualizzazione e partecipare-osservare gli insights intuitivi che potenzialmente possono emergerne.

È preferibile non toccare la placenta, a meno che sia strettamente necessario il bambino può essere sensibile a un tato prolungato e non necessario. Il cordone si secca velocemente; se assume pieghe che non si vogliono, è sufficiente avvolgerlo in un panno di cotone bagnato e strizzato, per fargli riprendere immediatamente la forma primaria.

Quando si fa il bagnetto al bambino (che furante i primi dieci giorni è preferibile evitare, garantendo la pulizia in altri modi), si dovrà tenere la placenta fuori dall’acqua. Se il cordone si bagna, lo si può asciugare, tamponandolo.

È naturale che la placenta si rimpicciolisca (diventa un quarto della misura che aveva alla nascita).

Il cordone diviene di colore argenteo e molto secco.

In questo modo, le sostanze dell’albero della vita vengono trasferite integralmente al bambino.

Il parto e il bonding olistico-autopoietici sono la base della profilassi
Sigmasofica
di base alla produzione di stress,

inducono il flusso delle funzionalità naturali con meno ostacolatori, una migliore efficienza metabolica e procedono verso la stabilizzazione delle funzionalità naturali. Il bambino e l a madre sono più rilassati, risultano veicolare una migliore capacità di apprendimento e di osservazione sensorio-percettiva: si crea l’humus funzionale al riconoscimento dei principi attivi che formano la vita-autopoiesi.

Scegliere il parto olistico-autopoietico contribuisce a destrutturare lo stato identificativo e abitudinario dei protocolli ospedalieri, secondo cui il taglio ombelicale è utilizzato ordinariamente, per convenienza, praticità e consuetudine. Nel caso di parto autopoietico, in ospedale è necessario, preventivamente,

  • rifiutare categoricamente il protocollo proposto;
  • richiedere di firmare e far controfirmare un documento di assunzione di responsabilità di tale rifiuto e questo va necessariamente fatto con coloro che assisteranno al parto.

Si suggerisce di concordare ciò molto prima e, senza eccezione alcuna, per iscritto! È meglio rivolgersi a enti ospedalieri che già abbiano praticato la non recisione del cordone. Si dovrà anche concordare che la nascita della placenta sia naturale e non indotta da farmaci o manovre induttive.

Tra l’altro, questa pratica potrà essere di profondo insegnamento allo staff di assistenti al parto coinvolti, in quanto mostrerà loro un principio attivo ecologico, innato:

l’unità inscindibile
padre-madre-figlio.

Per la Sigmasofia, il clampaggio immediato, anche se funzionale alla raccolta delle cellule staminali, è considerato fuori natura e, di fatto, toglie al bambino il diritto-dovere di assumere le sostanze naturali, necessarie ad ottenere benefici in funzione del rinforzamento delle difese immunitarie: proprio la recisone non naturale, chirurgica, frettolosa, immediata, può contribuire a far insorgere infezioni e malattie. Se il sangue del cordone è così importante, per eventuali trasfusioni necessarie al bambino, di fatto con il clampaggio si viene a togliere circa 100 ml di sangue dal neonato che, per natura, dovrebbe ricevere. Quindi, di fatto e paradossalmente,

la raccolta di quelle cellule staminali può contribuire a
indurre le patologie che presume di voler curare.
Il sangue dell’albero della vita spetta ad Androgynus, per natura.
Sei nato da sempre.
Buon viaggio, Androgynus!

LA REMISSIONE DELLA DIPENDENZA-CONTRO-DIPENDENZA E DEL TRANSFERT-CONTRO-TRANSFERT

Do mentre ricevo,
ricevo mentre do

Nel setting P.Si., la comunicazione integrale permette di vivere e di consapevolizzare la fusionalità, anche nelle sue estensioni di stato W.C.A., nella funzionalità innata.

Talvolta tale vissuto si esprime attraverso la proiezione di un bisogno-desiderio anche possessivo dell’altro, perché si proietta che possa essere il complemento ad una propria mancanza ed anche per altri motivi. Ma la fusionalità è una condizione di vita dell’innato e non è mai una mancanza, in quanto è il tessuto, l’humus, in cui vive l’ambiente complessivo, l’Universi, di cui siamo parte integrante e inscindibile e con cui siamo in stato di entanglement coscienziale autopoietico. Esistendo all’interno di esso in-formazioni innate, che ci interessa consapevolizzare per conoscere l’esistente, non può mai essere confuso con le non meglio specificate pulsioni d’amore. È vero che quando si avvicinano i corpi, può scattare e scatta i metabisogno congiungersi e con l’investimento, anche sessualizzato, interpretato anche come fare l’amore. Tuttavia, questo naturale applicativo non va confuso con lo stato fusionale, con lo stato E.C.A. o Sigmasofico, che includono la sessualità, l’amore, le necessità affettive (…).

Il metabisogno congiungersi si esprime fin dalla nascita, ma ripeto è una creazione delle funzionalità innate, il suo terreno più proficuo, più efficace, in cui può esprimersi è la fusionalità, infatti vivere il congiungersi, consapevoli della fusionalità dell’E.C.A. da cui si esprime, trasforma la sessualità da piacere, in sessualità della conoscenza, che permette di vivere forme molto più intense del solo piacere sensoriale. Successivamente, quando l’Io-psyché del bambino cresce, sperimenta anche altre pulsioni, come tutte quelle legate all’aggredior (aggressività) necessarie a soddisfare gli altri metabisogni e bisogni-desideri, tra cui quello di impossessamento di ciò che permette il soddisfacimento dell’aggredior. E, così via. Dietro queste funzionalità di soddisfazione dell’aggredior, comunque continua a muovere lo stato E.C.A., lo stato Sigmasofia. Per questo motivo, quando l’Io-psyché sembra soddisfare uno dei metabisogni e bisogni-desideri dell’essere umano, può anche sentire che gli manca ancora qualche cosa, che ciò non è sufficiente: “Mi sono reso conto che ancora non conosco culla dell’Universo e della morte” (da verbalizzazione). Ed è proprio questo uno dei passaggi fondamentali della Maieutica P.si.: quando il ricercatore si trova nella condizione indicata, vive un conflitto fondamentale tra kraino (che significa Io-compio, per la Sigmasofia rappresenta l’ingresso non proiettivo nel sovrasensibile, nel non localistico). Eros e Ares (la pulsione a congiungersi che non trascende se stessa e la guerra, l’aggressività-aggredior che utilizziamo per soddisfare i metabisogni e i bisogni-desideri). Se Eros ed Ares non ravvedono il principio di auto-trascendenza per vivere la propria eziologia sovrasensibile, si ritroveranno semplicemente in loro stessi, nell’insoddisfazione soddisfacente, il che significa che possono anche vivere bene il congiungersi, il soddisfacimento del metabisogno e del bisogno-desiderio, ma quella sensazione di incompletezza resterà necessariamente in circolo. È necessario aggiungere che tale insoddisfazione e incompletezza sono di fondamentale importanza, perché di fatto rappresentano la spinta che ci dovrebbe consentire di non vivere di rendita, assestandoci nella soddisfazione insoddisfacente, del tipo: “Anche se sento che manca qualcosa e questo è il massimo che posso vivere, me lo faccio bastare” (da verbalizzazione). Quando se lo fanno bastare o quando molti non riescono a raggiungere il “me lo faccio bastare”, accade che l’Io-psyché evidenzi un’alternanza tra Eros ed Ares, lasciando Eros come il richiamo massimo possibile, mentre sopra si svolge la fatica del vivere, del soddisfare i metabisogni, i bisogni-desideri, ma i vissuti ci dicono che anche Eros è aggredior da soddisfare e trascendere, per viverlo in ciò da cui si evidenzia. In base all’educazione ricevuta, alla consapevolezza veicolata, li partecipiamo-osserviamo conflittuali nell’espressione di quei processi, con loro stessi e con l’altro. Si trovando a dipendere e a contro-dipendere da uno stato di soddisfazione insoddisfacente, ma non sanno come penetrare l’insoddisfazione.
La Maieutica P.Si. propone il principio attivo di auto-trascendenza, come possibilità di remissione di quella dipendenza e contro-dipendenza.

Tale processo si manifesta in maniera proiettiva come dipendenza dalla madre, ossia colei che sembra soddisfarlo di più, proprio perché attraverso il suo corpo, nello stato di osmosi-fusionalità ci siamo creati: “Ma allora perché voglio andare via da lei, perché non la sopporto, eppure non mi fa mancare nulla?” (da verbalizzazione). Non riconoscendo i processi indicati, tra cui, all’essenza, l’autonomia fusionale, il bambino sviluppa aggressività verso la madre, il tutore. La madre, a sua volta, risponde con una contro-dipendenza, che si evidenzia dal fatto di aver saputo creare quel bambino. Dimostra, quindi, di possedere capacità di creazione, anche se non capisce, attraverso il vissuto diretto, come le sia stato possibile formare, cellula dopo cellula, il cervello, il corpo del figlio. Se lo spiega dicendo che è per natura, ma non penetrando il vissuto al di l+ del linguaggio intellettuale, quindi, curando il bambino, in qualche modo si occupa delle sue facoltà innate, di cui non è consapevole ma che per automatismo, può creare. Si instaurano quindi forme di contro-dipendenza e dipendenza che sono esse stesse stati ostacolanti, in cui ci si identifica e che, di fatto, non penetrano la necessita di trascendenza: è paradossale, taluni vorrebbero superare ci che sentono come un limite, ma non sanno come fare: “Come si fa a penetrare il mistero della vita?!” (da verbalizzazione). Nessuna delle due istanze è in rapporto completo con le necessità, i bisogni dell’altro, ma di fatto una forte componente è in rapporto con l’impenetrazione della fusionalità, dello stato E.C.A., quello attraverso cui iniziamo a porre in remissione lo stato di incompletezza. Mamma e figlio hanno tra loro un richiamo particolare, dovuto ai nove mesi di gravidanza vissuti in stato di osmosi, ossia di fusionalità. Hanno partecipato simultaneamente quella creazione, cellula dopo cellula, erano lo stesso corpo, lo stesso processo e questo lascia un imprinting molto potente perché lì, all’interno, risiedono i misteri del genoma, delle in-formazioni, della conoscenza, che di fatto veicoliamo nelle nostre cellule, anche se, attraverso il vissuto diretto, non ne siamo consapevoli. Ad oggi, dopo trent’anni di ricerche sulla coscienza, nessuna donna mia ha mai riferito di avere la coscienza vissuta della cellula, la coscienza dell’atomo. Al massimo, alcune hanno espresso forti competenze scientifiche: la mamma medico, la mamma biologo, la mamma fisico (…), tutte veicolanti appunto un sapere scientifico. È come dire: “Leggo un libro di Master e Johnson sulla sessualità e conosco la sessualità”, ovviamente non è così, la pratica diretta è un’altra cosa: lo stesso vale per gli altri vissuti. In nome di quell’osmosi, la separazione dal figlio rappresenta una minaccia insopportabile per la madre, perché all’origine di quella reazione c’è in realtà quanto indicato. Lo stesso capita al figlio: ricordo il caso di un ricercatore che, seppur sposato, non riusciva a non andare a dormire a casa della madre. Anche nella manifestazione della dipendenza da opposizione, ossia nel fare l’opposto di quello che il padre—madre dicono, c’è un riflesso di tali meccanismi. Pur opponendosi, il soggetto continua a dipendere, per cercare in proprio significati che la relazione con la madre-padre non gli permette di trovare. È la sua stessa identità e ricerca di senso, che risiedono proprio in gran pare nello stato E.C.A., con le altre in-formazioni innate.

La contro-dipendenza può essere anche letta come:

la dipendenza del maieuta dalla dipendenza proiettata dal ricercatore;
la dipendenza del ricercatore dalla contro-dipendenza, eventualmente
proiettata dal maieuta.

La contro-dipendenza cerca un modo per essere soddisfatta da una persona, da un investimento simbolico-reale.

Si manifesta, quando un Io-psyché vuole includere l’altro nell’investimento del proprio presunto amore, atto che a volte imprigiona il figlio: “Mi sentivo mancare l’aria dal suo eccesso di affetto e di protezione, ma non potevo dirle nulla, pur sempre mia madre” (da verbalizzazione); “Ci porta sempre doni, è sempre disponibile, come faccio a dirle che a volte è invasiva, è insopportabile con il suo volontariato?!” (da verbalizzazione).

La Maieutica P.Si. forma a non adattarsi alla contro-dipendenza. Il rischio consiste nel ridurre la componente individuale autonoma: le forme di potere che il dipendente esercita sul contro-dipendente, in realtà, sono processi localistici, ostacolanti l’assunzione della propria auto-determinazione-realizzazione piena. Ho seguito il caso di una identificazione-fissazione madre-figlia, sfociata nella discrasia grave. L’una non permetteva all’altra di esprimere la propria autonomia, in un’inversione relazionale: era la madre ad essere diventata dipendente dalla figlia che sentiva di non poter dire o fare nulla di diverso da ciò che piaceva alla madre la quale, per giunta, era anziana e malata: una vera discraiosi a due. In quel caso, non riuscii nemmeno a scalfire l’ostacolatore-discrasia.

Un altro ricercatore aveva tentato di porre in remissione la forte dipendenza dal padre, entrando volutamente in conflitto con il genitore che, in risposta a tale aggressività, per questioni di potere e di controllo della relazione, diventava anche lui fortemente aggressivo: ho assistito a due anni di guerra tra Eros e Ares, tra affettività e conflittualità, fino a che padre e figlio arrivarono ad una forma no assunta di rottura, allontanandosi per un periodo di tempo l’uno dall’altro. I nove mesi di osmosi, la dipendenza dei primi due anni di vita e oltre, necessari per nutrirsi, è strutturalmente normale e non la denominerei dipendenza, ma necessità il nutrimento Io-somatico. Gestiscono molto meglio tale situazione i genitori che si distribuiscono naturalmente l’accudimento del figlio nei primi anni, cioè soddisfacendo i loro metabisogni che da soli non potrebbero assolvere: se lasciato libero e solo, il cucciolo dell’essere umano, muore. Compito della Maieutica P.Si. è inserire, durante quelle fasi, semi, azioni olos-direzionate verso l’assunzione di autonomia fusionale, su base vissuta. Si tratta di esperienze di fusionalità con il bambino, durante le quali inserire spiegazioni con le azioni, con il linguaggio, fino a insegnargli che non ci sono assolutamente ostacolatori al fatto che mamma e papà possono soddisfare il bisogno affettivo e che, crescendo, anche lui sarà in grado di farlo. Tutto ciò si ottiene meglio non trasformando quegli atti di accudimento in oggetto mediatore su cui inserire meccanismi di potere discrasico: non si legano a tali situazioni dover fare, dover essere precostituiti, ma si affrontano come necessità funzionali.

A questo punto, è utile evidenziare le differenze di applicazioni della dipendenza e contro-dipendenza riguardo la figura del padre. Poiché con il padre non ci sono stati nove mesi di osmosi, con lui si determinano modalità di interazione differenti: di solito, si rilevano più frequentemente proiezioni di potere nella relazione che vissuti istintivo-emozionali. Lo stato di fusionalità con la madre e le informazioni che in esso si vivevano determinano in molti la spinta a voler trovare un corpo con cui unirsi, per tentare di ri-vivere quei processi innati. È il motivo per cui, da adulti, la ricerca del partner assume spesso un carattere molto significativo: si cerca la fusionalità, l’affetto, perché si pensa di trovarli all’interno della sessualità, il soggetto sta cercando le informazioni di creazione innata, sperimentale in quella condizione in cui i metabisogni venivano continuamente soddisfatti. Quando invece scopre che la sessualità veicola meccanismi di potere nella relazione o forme legate al piacere soltanto sensorio-percettivo, si accorge che alla lunga non funziona: infatti quella persona sta cercando anche molto altro (di cui spesso non è consapevole). Da qui, la confusione: si sente che il rapporto con il partner ha valore, ma non si riesce a capire bene perché non sia sufficiente. Per questo motivo, durante la P.Si., educhiamo a fare in modo che la componente sessuale non occulti il bisogno fusionale e che, all’interno della fusionalità, sia necessario orientarsi a vivere le informazioni che lì risiedono, per riconoscerle come evidenza dello stato E.C.A. Il piacere sessuale, infatti, non ha il potere si soddisfare le necessità di consapevolizzazione e di vissuto più profondo, esteso. Per questo motivo, cerchiamo di orientare all’integrazione di momenti che possano far prendere consapevolezza di tali informazioni e del determinismo innato, proprio durante la pratica della sessualità. Chi non vive questo è destinato ad avere in circolo sensazioni di incompletezza, di insoddisfazione, senza mai riuscire a capire da che cosa dipenda. Quindi, in questa fase, la Maieutica P.Si. risulta essere di assoluta importanza, perché può segnare l’ingresso consapevole nel sovrasensibile non proiettivo, nel superamento della dipendenza e della contro-dipendenza.

Quando si raggiungono i vissuti dello stato E.C.A., presenti nello stato di osmosi, si inizia a intuire che cosa si a veramente la soddisfazione che, fino a quel momento, non si era mai raggiunta pienamente. Spiego. Anche se mangiando poniamo fine allo stimolo dell’appetito, dell’aggredior, il giorno successivo la fame si ripresenta, una sorte di botte delle Danaidi. Ognuno veicola metabisogni e bisogni-desideri che cercano di essere soddisfatti ma, molti segnalano di non riuscirci, come se fossero condannati ad una vera tortura che potremmo denominare coazione a ripetere. Infatti, la soluzione non è in uscita, a valle, nel produrre la soddisfazione al metabisogno e nel raggiungerla, ma nella percezione a monte della fisiologia innata da cui si evidenzia il metabisogno stesso, condizione che va integrata alla soddisfazione in uscita. Se non si intraprende questo tentativo di integrazione, si cronicizza una situazione di dipendenza e contro-dipendenza che produrrà il perpetuarsi dell’ostacolatore Danaidi, di soddisfazione insoddisfatta. Quindi, la somministrazione di seduzione affettivo-sessuale che richiama lo stesso processo nell’altro, in realtà, per i motivi indicati, non può funzionare, in quanto non fa altro che alimentare la proiezione ho bisogno che tu abbia bisogno di me, ho bisogno della tua dipendenza, la contro-dipendenza. La componente sessuale, che peraltro è voluta in quanto veicola piacere, si aggiunge e rinforza tutto ciò, creando un iper apparato ostacolante l’ingresso nel vissuto dello stato di fusionalità E.C.A. Si evidenzia, inoltre, un aumento dell’ambivalenza, perché crea tra i partners una dialettica, un modo di agire che, illudendosi di essere libero, in realtà ostacola la libertà olistico-autopoietica innata.

La fusionalità non è un fantasma, non è rigorosamente un ostacolatore, non è nel modo e nella maniera più assoluta una regressione. Ribadisco: è proprio la mancanza di vissuto integrale, penetrato della fusione l’eziologia della dipendenza e della contro-dipendenza discrasica, che molti proiettano nelle dinamiche dell’acquisito. Si trasforma così ogni metabisogno e bisogno-desiderio in una dipendenza e contro-dipendenza, appunto perché di fatto ci si costringe a una ricerca permanente di soddisfacimento che, come visto, non è reale.

Come bisogna rispondere quindi alla proiezione di dipendenza? Intanto sapendo e vivendo che quando sentiamo il bisogno-desiderio che qualcuno abbia bisogno di noi è uno degli indicatori che non stiamo in realtà vivendo la fusionalità come stato Io-somato-autopoietico, a prescindere dall’altro. “Se l’altro non può fare a meno di me, significa che io posso garantirmi continuità di comunicazione con lui”. “In fin dei conti erano mia madre e mio padre a soddisfare i miei bisogni”. (da verbalizzazione). In questo caso, si evidenzia che la persona non ha trovato in sé il modo di essere padre-mare di se stesso, di provvedere alla soddisfazione in uscita e men che meno a monte e ciò non significa assenza di creazione simultanea con l’altro, assenza di soddisfazione. Le coppie, per i motivi indicati, spesso stanno insieme per meccanismi di dipendenza e contro-dipendenza, così come si separano per dipendenza e contro-dipendenza:

si uniscono con ciò che li separa
si separano da ciò che li unisce.

Le relazioni di potere nella relazione, che partecipiamo-osserviamo sempre nei ricercatori, dipendono da questi processi: se esiste qualche cosa come il potere, appartiene a colui che risponde alla proiezione di bisogno-desiderio dell’altro e che si viene a trovare nella condizione di poter dire: “Sì, ti soddisfo”; “No, non ti soddisfo”. Infatti, non appena il primo smette di proiettare il suo bisogno-desiderio e provvede in proprio, accade che quello che deteneva il potere di soddisfarlo non può più esercitarlo: “Non hai più bisogno di me come un tempo” (da verbalizzazione), e questo, per taluni, è veramente insopportabile, “mi sono sentito totalmente inutile e senza senso e significati ad esistere” (da verbalizzazione).

Come visto, il vissuto della fusionalità pone in remissione il dare e il ricevere, perché quando si è in uno stato fusionale ciò che si vive è simultaneo:

do mentre ricevo,
ricevo mentre do,

e la gestione del potere passa da questi processi: se do un metabisogno, mi aspetto di riceverne la soddisfazione. Inoltre, la fusionalità pone in remissione il rifiuto, perché ciò che è in me nella fusionalità è anche in te e viceversa. Avendo questa facoltà (se è reale fusionalità), è impossibile creare atti di potere riflesso: si evidenzia il potere olistico-autopoietico di vivere e di riconoscere simultaneamente ciò che c’è.

Di solito, l’atto del dare, nel senso di rispondere al bisogno-desiderio dell’altro, è considerato buono e giusto e, nello stesso tempo, condente a chi dà di sentire di essere in grado di farlo: “Anch’io dispongo di qualcosa” (da verbalizzazione), di qui la soddisfazione, in alcuni casi narcisistica, del donare. Quindi, dietro a questo atto, si può nascondere la proiezione di dominio sull’altro, posso darti o non darti quello di cui dispongo e se tu me lo chiedi la mia possibilità si esalta, così ti domino. Può manifestarsi il potere di dominazione, che può porre l’altro in stato di dipendenza, appunto perché sta chiedendo e quindi, per ottenere, deve tentare di sedurre, di sottomettersi. Quando, infatti, incontriamo ricercatori che fanno cadere le cose dal loro presunto alto, comprendiamo, all’istante, che in quegli Io-psyché sono in circolo ostacolatori di potere irrisolti. Per questo, rifiutare ciò che ci viene dato significa infliggere un colpo al potere di dominio dell’altro (se sta facendo quello). Accettare quello che l’altro ci dà può essere vissuto come una conferma alla sua capacità di dare. Il dare e il ricevere, vissuti simultaneamente in se stessi e con l’altro, pone in remissione relazioni ambigue di potere, di dipendenza e di contro-dipendenza, si vanifica tutta una serie di perversioni, di manipolazioni, di ricatti e così via.

Quando il ricercatore richiede l’intervento della Maieutica sta affermando implicitamente di averne necessità, perché, se conoscesse che cosa fare, come risolvere la motivazione d’ingresso, applicherebbe egli stesso la soluzione, invece la chiede a chi pensa possa fornirgliela. Già questa situazione è una forma di dipendenza voluta. Si trova nella stessa condizione, in cui si trovava appena nato nei confronti dei genitori, dei tutori, quando non sapeva, non conosceva, non poteva fare alcune cose e si rivolgeva a chi le conosceva e poteva rispondere: “Soltanto tu sapevi come uscire da quella situazione” (da verbalizzazione). Al bambino, in genere, piace identificarsi e comportarsi come l’adulto e carpirgli quel potere, fare lui stesso quello che fa il genitore, il tutore: quante volte li abbiamo visti ripetere i gesti che hanno appreso? A pensarci bene, che cos’altro potrebbero fare se non agire quello che hanno appreso da altri? Troviamo spesso la stesa situazione durante il setting: carpiscono, prendono dalla seduta, da ciò che hanno visto fare al maieuta e lo ripetono per loro o verso altri. Inizialmente però, per dare continuità all’apprendimento, il bambino deve fare anche in modo che i genitori continuino in quell’opera di insegnamento, di accudimento e per ottenere questo mettono in atto tentativi di seduzione, di varia natura. Come detto, se si riesce a creare la condizione simile a quella in cui riteniamo l’altro indispensabile quando abbiamo noi un bisogno, si suppone che anche l’altro, messo nella stessa situazione, ci ritenga indispensabili: “Ho provato veramente che abbia avuto bisogno del mio aiuto” (da verbalizzazione). “Finalmente, potevo essere io a dirti di fare o di non fare ciò che mi chiedevi” (da verbalizzazione). In questa dinamica e a proprio vantaggio, vengono a crearsi diverse forme di manipolazione, anche perverse. Non si tratta di non evidenziare l’eventuale esistenza di bisogni-desideri, quanto di scoprire se gli stessi hanno la funzione di oggetti mediatori per altri significati-significanti, per processi ostacolanti-discrasici. Per questo motivo, la posizione del maieuta, quella di essere complemento di se stesso, non va mai abbandonata (se non per motivi maieutici), perché altrimenti si introdurrebbe una potenziale discrasia che, al percepito del ricercatore, potrebbe rendere il maieuta steso vulnerabile: “Se anche tu hai bisogno, allora non puoi risolvere i miei” (da verbalizzazione). Il maieuta può applicare tale contro-dipendenza, se ritenuta funzionale alla presa di consapevolezza del ricercatore, durante il setting, facendo ritenere che il ricercatore è di fondamentale importanza e, per lui, irrinunciabile. A seguire, provoca lo shock autopoietico, ossia un’azione che destruttura all’istante la contro-dipendenza che sicuramente il ricercatore ha letto e amplificato come esercizio del proprio potere sul lui. È far esplodere alla consapevolezza l’onnipotenza proiettiva del ricercatore, per olos-direzionarla verso altre forme di apprendimento e di consapevolizzazione.

In generale, il maieuta comprende ogni singolo stato Io-somatico che il ricercatore mette in relazione, lo fa senza alcun giudizio, al solo fine di orientarlo verso l’eziologia di ciò che ha investito. Per raggiungere questo obbiettivo, può anche mettere in gioco i propri sentimenti, che tuttavia non devono veicolare bisogni-desideri personali, importante che non chieda nulla per se stesso, ma che somministri olos-direzionamento maieutico. Somministra il dare-ricevere simultanei senza prendere né chiedere. Deve trasmettere: Io, nei fati concreti, ci sono, incondizionatamente, perché questa è la consapevolezza che trasmetto e voglio trasmettere; ma, pur essendomi prezioso, molto prezioso, se tu non ci fossi, la mia azione continuerebbe senza riduzioni ad essere somministrata, con la stessa efficacia e conoscenza. È l’insegnamento vissuto minimo che ogni maieuta deve veicolare e deve saper somministrare, consapevolezza che permetterà al ricercatore di situarsi con maggior chiarezza di fronte al maieuta, così come di fronte alla vita.

La lunga formazione serve anche a maturare, attraverso il vissuto diretto, tale autoconsapevolezza: ma, è veramente reale che il maieuta non abbia nessun bisogno-desiderio? È ovvio che viva meta-bisogni e bisogni-desideri, che li abbia affrontati, messi in discussione, che li abbia vissuti e che vi abbia applicato l’azione correttrice, quando necessario, altrimenti non sarebbe un maieuta! Il punto della questione è che, consapevole del fatto di aver percorso quel sentiero, è in grado di gestirli, di non proiettarli, di non creare contro-transfert, contro-dipendenza, a sua insaputa: se necessario, somministrerà contenuti emozionali soltanto durante il setting. Tuttavia, se veramente integrato, quel modello di comportamento viene applicato non soltanto nell’ambito del setting P.Si., ma anche nella vita di ogni giorno, allo scopo di cerare vissuti, esperienze non proiettive. Di conseguenza, il maieuta si trova ad essere in continua auto-supervisione e in continua supervisione con il suo formatore didatta. Ciò non comporta nessuna frustrazione, in caso si sentisse colpito da qualche osservazione fatta dal didatta, ma ove ciò dovesse avvenire e si sentisse ferito, porterebbe quel vissuto in elaborazione. Specifico meglio. Durante la seduta, il suo ontos-sophos-logos-kraino è sempre in azione e non si tratta di una proiezione o di una forma di contro -dipendenza, di contro-transfert. Lo scopo del maieuta è quello di esistere sempre e consapevolmente con l’avanguardia della propria funzione Ypsi, della consapevolezza di se stesso, dell’Universi-parte, che fino a quel momento ha saputo raggiungere. Per i ricercatori, è un possibile prototipo di riferimento riguardo il raggiungimento di auto-consapevolezza olistico-autopoietica ed ha il chiaro intento di guidare l’io-psyché del ricercatore verso la propria. Anche se questa autoconsapevolezza, l’autonomia fusionale autopoietica raggiunta si presta molto ad essere investita dalle dipendenze, dalle proiezioni irrisolte del ricercatore, resta pur sempre il vissuto del maieuta. Si determina così che il suo essere reale resta sempre parte integrante e inscindibile dei vissuti in palestra ma, nello stesso tempo, non proiettivo e individuato. Ricordo il caso di F. quando mi disse: “Con quella roga ho vissuto una sensazione così bella e straordinaria, ma in casa non posso parlarne con nessuno, mi sento molto solo (da verbalizzazione). È la solitudine proiettiva da inconsapevolezza: nasce da auto-amplificazioni del proprio vissuto, quando si proietta su altri incapacità di comprensione ciò fa parte della propria proiezione. Per questo motivo, un maieuta, che si sente solo a causa dell’autoconsapevolezza evoluta che pensa di possedere rispetto a quella dei ricercatori, sta proiettando lo stesso processo di amplificazione di sé, che dovrà portare in supervisione, per porlo in remissione. Quel tipo di solitudine è sempre proiettiva, è la proiezione dell’ostacolatore onnipotenza, l’incapacità dell’Io-psyché di essere consapevole dello stato di fusionalità in cui vive, in se stesso e con ogni altra parte-Universi esistente ed è di questa che dovrà beneficiare, perché è quella che gli garantisce di essere complemento di se stesso attraverso quella parte di sé che è l’altro. Vivrà di essere sempre maieuta, indagatore e risolutore dell’eziologia dei suoi stessi stati Io-somato-autopoietici: in tale stato, non produce bisogni-desideri, ma la loro soddisfazione a monte e a valle. Questo stato Sigmasofia evidenzia nel setting P.Si. l’espressione libera della propria autonomia fusionale autopoietica e, soprattutto, non proietta l’ostacolatore onnipotenza, applicato alla solitudine, che è sempre segno di un

burn-out da inconsapevolezza, scambiata per conoscenza.

Ovviamente, sono consapevole che esiste sempre il rischio che il maieuta possa lasciarsi intrappolare in una relazione di contro-transfert, di contro-dipendenza. Anche in questo caso, gioca un ruolo enormemente significativo il meccanismo in base al quale

l’Io-psyché ha bisogno-desiderio che si abbia bisogno-desiderio di lui,

se c’è questo ed è legato ai soldi, guadagnerà, ma sarà la prova provata a se stesso di stare in realtà proiettando l’ostacolatore narcisismo, che ancora evidentemente non ha pienamente risolto. Questo meccanismo sarà pertanto affrontato in supervisione. Si tratta di processi molto importanti, in quanto la formazione in Sigmasofia, proposta dalla International Sigmasophy University, dura minimo sette anni, ma anche la Maieutica Io-somatica Sigmasofica o quella P.Si. possono durare anni. Se ci sono ostacolatori ancora non pienamente elaborati dal maieuta, questi emergeranno sotto forma di transfert e contro-transfert, di dipendenza e di contro-dipendenza, che indurrebbero in modo iatrogeno esattamente ciò che il setting P.Si. si prefigge di porre in remissione. Esemplare fu il caso di una ricercatrice che riferì: “Ho frequentato per venti anni una comunità spirituale e per tutto questo tempo ho sovracompensato la mia mancanza di consapevolezza con la mia dipendenza verso il Maestro e soltanto qui mi sono resa conto che quel Maestro proiettava la sua contro-dipendenza su di me, gli piacevo” (da verbalizzazione).

Ho potuto constatare che talvolta il maieuta proietta impazienza su se stesso e sul ricercatore, non sa aspettare e vuole vedere subito la soluzione delle proiezioni, delle dinamiche ostacolanti e discrasiche, perché in quel modo sarebbe riconosciuto come bravo ed efficace. Si tratta ovviamente di un processo da portare in supervisione. Potrebbe dipendere dal fatto che il ricercatore produce con continuità lo stesso ostacolatore e che, più il maieuta si mostra dipendente da quel processo, perché vorrebbe porlo in remissione, più il ricercatore, se anche inconsciamente se ne accorge, si convince di aver trovato il modo di trattenere su di sé l’attenzione e di dare continuità alla relazione con la persona che crede possa indicargli la soluzione dei suoi problemi e dei misteri della vita. Tentare di legare a sé il maieuta è un tentativo che ho osservato molte volte. Per questo motivo, dopo aver utilizzato tutte le tecno-ontos-sophos-logie per tentare di porla in remissione, la reiterazione dell’ostacolatore deve essere trattata con shock autopoietici, anche intensi, che mirano a colpire la struttura narcisistica in circolo, proiettata dal ricercatore, attraverso cui ritiene di tenere legato a sé il maieuta contro-dipendente. Lo shock autopoietico può essere somministrato soltanto da un maieuta perfettamente consapevole di una dinamica simile, motivo per cui il docente didatta dovrà sempre testare, durante le supervisioni annuali, se esiste o meno la presenza di contro-dipendenza. L’intervento risulta ancora più efficace, quando è il maieuta stesso a rendersi conto di quegli elementi irrisolti.

In generale, durante il vissuto si evidenzia il fatto che, per così dire,

chi ha meno bisogno dell’altro ed è complemento di se stesso detiene il potere nella relazione.

C’è da aggiungere che, per definizione, quando in una relazione (con se stessi o con altri) si evidenzia l’ostacolatore potere significa sempre che sono in atto proiezioni di dipendenza e di contro-dipendenza. Infatti, il potere reale, quello olistico-autopoietico, crea ciò che vuole creare, anche avvalendosi di quella parte di sé che è l’altro (ciò non è un vezzo intellettuale, bensì è entanglement micro-particellare e coscienziale consapevolizzato). Per disporre di quelle conoscenze non è necessario contrapporsi, ma creare la soluzione: è più una creazione di un punto di incontro che non un’affermazione di posizioni, di opinioni, di identificazioni.

Il potere reale non lega all’altro,
ma crea, in piena autonomia fusionale autopoietica,
esprimibile da ognuno.

La libertà di azione olistico-autopoietica non è la proiezione di un mito. Per esprimerla, non c’è alcun prezzo da pagare, ma soltanto auto-consapevolezza da raggiungere, quella che pone in remissione la proiezione che possa esistere la solitudine (ripeto, processo intellettuale che esiste soltanto per la proiezione irrisolta).

L’autonomia fusionale autopoietica, lo stato Sigmasofia che sto evidenziando trova maggiore comprensione, quando si manifesta in noi un significato-significante dell’esistenza, riconosciuto come tendente alla conoscenza olistico-autopoietica vissuta maggiormente estesa. Per fare questo è possibile avvalersi dell’avanguardia di consapevolezza del proprio Io-psyché che può cercare di trovare il punto d’incontro con la consapevolezza dell’altro, che, per entanglement micro-particellare, è già parte di noi. Se identificazioni acquisite dovessero negare la realizzazione di tale punto d’incontro, il Maieuta sa che in goni caso potrà trovare tali in-formazioni, queste si troverebbero, di fatto, in circolo nel campo coscienziale, di cui ogni Io-psyché è evidenza -entanglement coscienziale-).

Per raggiungerlo, un passaggio che ho sempre constatato essere importante è quello di

conquistare la consapevolezza di
poter scegliere le proprie dipendenze e contro-dipendenze.,

il che corrisponde ad un grado molto ampio di consapevolezza, di funzione Ypsi, perché presuppone che quel soggetto abbia vissuto prese di consapevolezza Io-somato-autopoietiche che, per quanto mi consta, non è semplice integrare. Il passaggio successivo consiste nell’accettarle e nel viverle: la base minima da cui assumere di praticare con maggiore efficacia la pratica della Concentrazione-trasmutazione e delle Autopoiesi olosgrafiche, localistiche e non locali. La dipendenza e la contro-dipendenza, il transfert e il contro-transfert iniziano ad esprimere il loro potere di luce e di conoscenza quando l’Io-psyché riesce a vivere la libertà olistico-autopoietica, si emancipa anche dal poter scegliere, accettare e vivere dipendenze e contro-dipendenze, in favore

dell’assunzione dell’esplorazione continua delle regioni coscienziali
dell’Universi-pare, ancora non consapevolizzate.

Il setting P.Si. non permette di fermarsi ad una elaborazione soltanto intellettuale dei processi indicati, ma conduce ad una elaborazione vissuta integralmente. Si evidenzia un altro processo, le esperienze passate, che abbiamo investito nel setting P.Si. sono il patrimonio acquisito formante la propria interiorità, da cui dobbiamo estrapolare la funzione Ypsi, ossia la sintesi dell’insegnamento che quell’esperienza ci ha dato da mettere in circolo, consapevolmente, unendolo agli insegnamenti estrapolati dalle altre esperienze. Si tratta, quindi, della

transmutazione dell’esperienza vissuta in insegnamento, attuato
attraverso l’azione.

Un’azione correttrice che l’Io-psyché dovrà assumere e che gli indicherà di essersi disidentificato dalla coazione a ripetere le stesse dinamiche del passato memorizzate in lui. Soltanto quando questa funzione Ypsi sarà effettivamente realizzata e attivata come unico stato di avanguardia di consapevolezza, quel ricercatore potrà riconoscersi come autonomia fusionale autopoietica, come stato Sigmasofia, realizzati:

sarà pronto all’esplorazione di regioni del campo coscienziale olistico-autopoietico
dell’Universi-parte, se stessi, ancora non
consapevolizzate.

Buon viaggio!

NOTE

Le Danaidi furono condannate da Zeus a riempire d’acqua una gran botte che aveva il fondo bucato. Così quanta acqua vi versavano tanta ne usciva. Fuori dal mito: tanta soddisfazione del metabisogno si produce tanta se ne ricrea, fin al punto morte.

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