SESSUALITÀ E TRADIMENTO SESSUALE

La sessualità come campo di forza, come fusionalità oltre le morali acquisite.

La sessualità è di per sé un’energia, una spinta vitale, creativa, in quanto attraverso la sua pratica si può effettivamente generare una nuova vita, per questo è un campo di forza potenzialmente molto intenso e attraente, al di là della scelta di procreare o meno, infatti viene utilizzata anche senza questo fine. È inoltre uno spazio di comunicazione non verbale, quindi più diretta, istintiva-emotiva e dove la compenetrazione dei corpi può far vivere elementi di fusionalità, da qui un motivo (tra gli altri) del benessere psico-somatico che in genere suscita.



La fusionalità

La fusionalità è l’indistinguibilità dei confini corporei che corrisponde ad una percezione interna di maggior ampiezza, di estensione, di vastità interiore. È raggiungibile attraverso il corpo dell’altro, se c’è una buona capacità introspettiva, ma non soltanto: la fusionalità, così come la sessualità sono principi attivi (tra gli altri) ai quali è possibile attingere da se stessi, perché da se stessi prodotti e anche compartecipabili con l’altro/a. Spesso, invece, si è convinti del contrario, ossia che si possa viverla solo in presenza dell’altro/a: anche se l’altro/a può fare da innesco, la sensazione viene prodotta in chi la percepisce, quindi è autoproducibile, ma vedremo più avanti quale implicazioni questo abbia. La prima esperienza di fusionalità avviene nel grembo materno, dove si è in totale osmosi con il corpo della madre e il soddisfacimento dei metabisogni avviene attraverso di essa. Ma, quello è anche il periodo in cui le cellule costruiscono, creano un corpo, con le sue funzioni, anche psichiche. È energia vitale creatrice all’opera; la spinta, la pulsione profonda (e spesso totalmente inconscia) all’unione con l’altro/a deriva all’essenza da questo, dal voler vivere la fusionalità, l’energia creatrice.

Registrazione cellulare

L’unione ha sempre quindi una valenza sia emotiva sia energetica, al di là che la si sappia riconoscere o meno. Poiché l’acquisito, ossia i significati psichici, nel feto ancora non sono formati, tutte le sensazioni, le emozioni della madre vengono registrate a livello cellulare, non consapevolizzate, difatti l’andamento del periodo gestazionale è importante per risalire ad eventuali difficoltà o meno del nascituro, ma spesso è difficile raccogliere informazioni e soprattutto collegare (e destrutturare, se necessario) comportamenti in risposta ad eventi così profondi e inconsci. La relazione con le figure di riferimento del nascituro, come sono state interiorizzate, l’ambiente nel quale è cresciuto e le sue successive esperienze determineranno l’individualità, acquisita, ossia tutto ciò che si inscriverà sull’innato, che è la predisposizione a disporre di qualunque pulsione, funzione. E veniamo all’argomento specifico di questo articolo.

Sessualità come campo di forza universale

Se i contenuti psichici ed emotivi rispondono alle esigenze acquisite, cioè appunto alla storia personale e di provenienza di ognuno, la componente vitale, energetica, no, è universale, è ciò che ne permette l’espressione al di là dei significati che attribuiamo: l’innato determina ad esempio la facoltà di emozionarsi, l’acquisito è la specifica emozione (la gioia, la tristezza, la rabbia ecc.) in relazione a (…) il significato che ognuno metterà in base alla propria storia acquisita. La sessualità è, quindi, un campo di forza, una spinta vitale, potenzialmente creatrice come detto inizialmente, libera, non specializzata, ma che può essere investita sul altri in base alle caratteristiche acquisite.

Ma, può essere espressa anche
indipendentemente dalla presenza o meno dell’altro,

infatti l’eccitazione può esprimersi innescata da un pensiero, da un’immagine o in assenza anche di questi (l’erezione e l’eccitazione femminile durante il sonno, svincolata dal contenuto del sogno, ne sono un esempio), così come può essere innescata dalla presenza dell’altro/a. Ma siccome siamo abituati a vivere la sessualità non anche come campo di forza ma soltanto come genitalità, corporeità, si scambia l’innesco per la causa. La causa è invece la possibilità di produrre la pulsione, di esprimere la funzione, attingendo, ripeto da sé; anche se l’innesco può essere l’altro/a è dentro di noi che si esprime quella pulsione-emozione-funzione, tanto è vero che pur condividendo la stessa esperienza (non solo quella sessuale, ma di quella stiamo trattando ora), non è affatto detto che il vissuto, le sensazioni siano le stesse.

Comunicazione profonda opposta a uso strumentale dell’altro

Da qui tutte le problematiche dello star bene/male in presenza o assenza “dell’oggetto” dell’investimento, o della soggettività del vissuto rispetto all’investimento, il diverso modo di sentirsi coinvolti nella relazione, le diverse intensità o modalità. Quindi non è detto che una comunicazione, anche intima, intensa, sia una reale comunicazione. La consapevolezza della componente fusionale, l’ascolto (di sé e dell’altro), l’empatia cominciano ad essere degli elementi che possono portare a una comunicazione più profonda.

Spesso, invece, è un dialogo ognuno con se stesso, con le proprie reazioni, sensazioni, più che con quelle dell’altro/a, che a volte, diviene strumento per produrre piacere più che essere riconosciuto come altro con il quale si sta comunicando.

Infatti, spesso accade che trascorso un periodo, una fase, anche soddisfacente sotto diversi profili, ci si senta insoddisfatti e si cerchi un altro/a per poi ripetere la stessa coazione a ripetere. Ma, anche in questo caso, la novità non viene dall’altro/a, o almeno non solo, ma dalla propria capacità di aprirsi a livelli sempre più profondi, se si attuasse questo l’esperienza (qualunque esperienza) non avrebbe una scadenza, non sarebbe ripetitiva. Se si penetrasse l’atto sessuale, percependone il campo di forza mentre lo si vive si amplierebbe moltissimo la percezione dell’intensità e il piacere corporeo (Io-somatico) risulterebbe un riflesso di sensazioni molto più forti, lo si sentirebbe attraversare diffusamente tutto il corpo e si entrerebbe in stati coscienziali più estesi, di beatitudine, di estasi, infatti in alcune culture è vissuto come modalità meditativa, di preghiera a due (o più), come per esempio nel Tantrismo.

La pulsione autopoietica a vivere e a conoscere

La spinta ad esplorare, a conoscere, denominata in Sigmasofia pulsione autopoietica a vivere e a conoscere è un’altra pulsione vitale. Esplorare per conoscere è una spinta ancestrale che, nell’Uomo, è legata al proprio percorso evolutivo che ha sia applicativi pratici (come le scoperte nei vari ambiti) sia rispetto alla propria interiorità. Se si perde questa spinta, infatti, si entra in forme di appiattimento, di perdita di senso e significato della vita stessa, con conseguenze anche gravi, come il suicidio, la depressione o, senza arrivare a questi estremi ma che, per come la penso, non è di minor implicazione, a lasciarsi vivere dagli eventi della vita, ossia entrare in forme di routine, di stereotipie relazionali, negli automatismi degli adempimenti quotidiani, incanalati nelle convenzioni socio-culturali, con qualche picco emozionale quando capita qualcosa di diverso.

Non interrogarsi su se stessi, sulle proprie reazioni agli eventi della vita in cui ci imbattiamo (che, a ben vedere, non sono mai casuali), non penetrare con consapevolezza vissuta[1] le proprie emozioni, le esperienze che facciamo, non elaborarle, è una forma di allontanamento troppo distante da questa spinta innata, vitale, per non avere come conseguenza almeno una sorta di insoddisfazione, di agitazione di fondo. Spesso superficializziamo la relazione con noi stessi liquidandola con un sono fatto/a così, è il mio carattere, affermazione peraltro basata sull’osservazione di una ripetitività di comportamento, non approfondendola, senza chiederci perché reagiamo proprio in quel modo, mettiamo in atto quegli specifici comportamenti; senza chiederci come abbiamo costruito quel sono fatto/a così.

Mancanza di consapevolezza vissuta

Spesso, con questa conoscenza così parziale di noi stessi entriamo nelle relazioni che, quindi, in questo caso rappresentano un riempimento di nostre mancanze: l’altro/a diventa il mezzo per soddisfare un nostro bisogno-desiderio-pulsione (neanche ben chiaro). In realtà, con questo presupposto, non incontriamo mai realmente l’altro, quanto la soddisfazione o meno di un nostro bisogno-desiderio-pulsione-aspettativa attraverso l’altro, e infatti il conflitto, in ultima istanza, nasce quando l’altro/a non soddisfa le proprie aspettative. Nelle relazioni affettive, nella coppia, questo meccanismo, che si può estendere anche negli altri ambiti relazionali (amicali, lavorativi, tra genitori-figli, insegnanti-alunni), è particolarmente evidente. Non sapendo essere complemento di noi stessi, il cui raggiungimento non significa assolutamente non stare in relazione, cerchiamo il compromesso per andare d’accordo con l’altro.

Ma è proprio questo che significa non stare in relazione: se si sa stare da soli, o meglio con se stessi, con pienezza, l’altro non manca, perché con l’altro si saprà realmente incontrarsi, sarà più facile vedere l’altro, per quello che è, non in base alle proprie aspettative, ai propri investimenti, alle proprie dinamiche irrisolte, non si starà in relazione con l’idea che ci si è fatti dell’altro, ma effettivamente con l’altro da sé.

Allora la relazione non sarà un compromesso,
ma un punto d’incontro su base reale;
allora l’incontro sarà realmente esclusivo,
perché voluto, scelto,
perché si è presenti con tutto se stessi.

Non è un’esclusività da contratto, da dover essere secondo convenzione, secondo morale che, quando vissuto così, non può che alimentare il desiderio anche verso altri al di fuori del partner.

Proiezioni, routine e la rottura della coppia

Ma se non si sa bene chi si è, cosa si vuole e perché si assume proprio quella modalità di comportamento, chi andiamo ad incontrare se non, appunto, una nostra proiezione? Ossia il desiderio che l’altro rappresenti quella possibilità di realizzazione. Finita la fase proiettiva (che può durare anche anni), la routine, non animata da senso e significati profondi, abbinata a questi giochi proiettivi non compresi (e spesso neanche sapendo che potrebbero essere indagati), è uno degli elementi che fa scoppiare la coppia, o attraverso il conflitto e/o con la separazione vera e propria. Le separazioni avvengono anche perché, in conseguenza della pulsione a conoscere e a vivere, le persone (per fortuna) cambiano, evolvono e non è detto che il partner risponda ancora alle proprie avanguardie di consapevolezza.

A volte non ci si autorizza questa crescita e per paura del cambiamento e per altre proprie motivazioni si rimane incastrati in relazioni che di vitale non hanno più nulla, accettando questi trascinamenti come normali, o accontentandosi dei compromessi.

Ma se siamo collegati a questa spinta a conoscere, difficilmente si permane nella stessa relazione o quantomeno con le stesse modalità. Ciò non vuol dire ovviamente che si possa permanere nella stessa relazione e relative modalità con soddisfazione e pienezza, ma per esperienza diretta e indiretta, attraverso i racconti di molte persone, seguite da me o che abbiano intrapreso un lavoro introspettivo su loro stesse o che non lo abbiano fatto, le testimonianze sono state quelle qui riportate come meccanismo.

Il tradimento in chiave sigmasofica

È possibile che in quella fase possa verificarsi il cosiddetto tradimento.

Ma proviamo ad esaminare questo concetto alla luce di quanto espresso precedentemente. Intanto possiamo osservare quanto questo termine corrisponda a interpretazioni, valutazioni personali partendo dal presupposto convenzionale che è considerato tradimento la penetrazione sessuale con un altro/a rispetto il/la proprio/a partner, ma anche all’interno di questa valutazione esistono differenziazioni: per alcuni costituisce tradimento anche un solo bacio, il flirt, il confidarsi di questioni intime, addirittura sono mal tollerate se non proprio non accettate frequentazioni con l’altro sesso anche senza implicazioni sessuali. Il desiderare un altro uomo, o donna, magari del mondo dello spettacolo, sembra invece non essere così colpevolizzato (se ovviamente non si concretizza l’incontro sessuale), perché ritenuto normale, comune. Da una parte sembra quindi esserci la consapevolezza che provare desiderio sessuale per più di una persona sia normale, più questa è inarrivabile (il personaggio pubblico ad esempio) più è accettabile, appunto perché non realizzabile ma, a ben vedere se la pulsione si esprime, significa che esiste e, al di là che questa si realizzi, fa parte della naturalità dell’essere umano.

Morale e colpevolizzazione

È quella spinta innata di cui abbiamo trattato all’inizio, sono le valutazioni acquisite, i significati, morali, socio-culturali, convenzionali che innescano tutte quelle conflittualità interiori, i sensi di colpa, rispetto a una pulsione che di per sé nasce libera, spontanea (e infatti qualunque essere umano la prova anche mentre è in una relazione cosiddetta esclusiva, al di là che ce la si conceda o meno), e il fatto che la si investa nel corso della vita su diversi partners testimonia il fatto che non possa essere per natura esclusiva, può esserlo per un periodo. A conferma di ciò, infatti, è possibile anche che il tradimento (o il desiderio di esso) non sia necessariamente significativo di un’insoddisfazione rispetto al proprio/a partner, può essere un’esperienza, un vissuto altro che non mette in discussione la propria relazione “ufficiale”, ma siccome la sessualità è spesso iper valorizzata, appunto perché attraverso di essa possono essere vissuti picchi di intensità che difficilmente si sa immettere attraverso altre esperienze, allora viene colpevolizzata.

E poi, cosa viene colpevolizzato? Il senso di colpa è per il (presunto) dispiacere di ferire l’altro o per la paura di perderlo/a in conseguenza di una propria pulsione, che se si produce e la si reprime si potrebbe considerare un tradimento verso se stessi? E perché condividere qualsiasi altra esperienza con un altro/a diverso dal proprio/a partner non assume lo stesso valore? Se lo si subisce, la sofferenza è sempre riferita a sé: non essere il/la preferita, ossia una ferita narcisistica, che non ha nulla a che vedere con l’amore, con cui, a volte inconsapevolmente, la copriamo.

Conclusione

 Non sono a favore o contro il tradimento di tipo sessuale, voglio solo dire che potrebbe meritare riflessioni maggiori (soprattutto perché viene praticato ovunque e da sempre) rispetto ai luoghi comuni, ribadisco, per altro in base alla propria cultura di appartenenza: ci sono culture che non l’hanno demonizzato, altre che ne fanno motivo di condanna a morte se scoperto, già questo indica che le categorie giusto-sbagliato sono sempre relative e mai assolute, difatti la Sigmasofia non tratta nessun argomento in base a queste valutazioni ma come esistenti da indagare, rispetto la propria autoconsapevolezza vissuta. È l’aderenza ad essa che, secondo me, se proprio si vuole utilizzare questo termine non si dovrebbe tradire.

Conoscersi, riconoscersi significa saper ascoltare la propria parte profonda, accettare i cambiamenti, determinarli in base al coraggio della propria autodefinizione, che è di fatto un processo continuo se si è in linea con la vitalità. Sapersi mettere in discussione e ridefinirsi in base a nuove prese di consapevolezza è essere aderenti a questa spinta innata a vivere e a conoscere.


Note

[1] È una forma di consapevolezza più approfondita rispetto al semplice rendersi conto di ciò che si sta vivendo, in quanto frutto di un lavoro su di sé che comprende la partecipazione presente al vissuto, all’esperienza, l’osservazione di sé mentre è in circolo l’emozione e la decodifica di quanto vissuto in base anche ad esperienze precedenti, che possono avere un collegamento rimasto fino al quel momento inconscio. Nella formazione in Sigmasofia i vissuti, di qualunque genere, vengono esplorati anche nella loro componente energetica, ossia mediante pratiche meditative finalizzate alla percezione diretta del campo di forza vitale che, in quanto tale, sottende alla loro manifestazione, indipendentemente dal contenuto e dal significato che attribuiamo loro.

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