Il gioco simbolico-reale e la paura – forme di espressione libera degli stati psichici e somatici.
Attraverso il gioco simbolico-reale, il bambino trova forme di espressione libera dei suoi stati psichici e somatici. Il gioco assume la forma della propria interiorità e dato che si tratta di un “gioco”, spesso il bambino può liberarsi di pulsioni senza la paura di essere sgridato o colpevolizzato. I personaggi cattivi possono essere l’incarnazione simbolica e reale di emozioni represse e non esprimibili nei contesti di vita quotidiana, perché non conformi a regole e norme di comportamento, o anche perché ancora inconsci. Questi contenuti interni risultano quindi minacciosi, dolorosi o incompatibili. Inoltre, il gioco è anche il terreno dove predisporsi per affrontare poi la situazione nella vita reale.
- Il gioco simbolico-reale e il meccanismo della proiezione
- La paura e la consapevolezza
- Il mostro
- L'imprigionamento dell'istinto e l'angoscia della coscienza
- Aggressività, conflitto con l'adulto
- Il mostro nell'immaginario moderno: da frankie a golem
- La raffigurazione del cutting e il corpo come contenitore psichico
- Conclusione
Il gioco simbolico-reale e il meccanismo della proiezione
Quindi, attraverso l’osservazione compartecipata del gioco con i bambini è possibile cogliere la proiezione che il piccolo fa dei propri stati psichici interiori sull’esterno.
Che cos’è il meccanismo della proiezione, o traslazione?
È quel processo psichico che consiste nel
trasferire, traslare, su altre persone, oggetti e situazioni,
pensieri e sentimenti, o impulsi interni
che il soggetto percepisce come
inaccettabili o minacciosi per il proprio equilibrio psico-somatico.
L’individuo, in questo caso il bambino, sperimenta emozioni, desideri o impulsi (spesso di natura aggressiva, ostile, sessuale o ansiosa) che non riesce ad accettare perché contrastano con il sistema educativo ricevuto o con l’immagine che ha di sé stesso (es: “sono un bravo bambino, non sono cattivo”). Per ridurre l’ansia generata dal conflitto interno, la persona attribuisce tali contenuti a qualcun altro: “Non sono io che sono cattivo, è lui che non mi vuole bene”. In questo modo, il bambino non si percepisce come portatore di emozioni o impulsi indesiderati, ma li vede riflessi nell’Altro o nel personaggio da lui creato nel gioco.
La paura e la consapevolezza
La paura è una delle emozioni che viene più frequentemente espressa attraverso il gioco dei bambini, attraverso l’invenzione fantasiosa di personaggi spaventosi, aggressivi, cattivi, minacciosi o situazioni paurose. La paura del mostro, nello specifico, si evidenzia attraverso peculiari modalità e con significati ben precisi.
Entriamo nel merito.
La psiche dell’essere umano attraverso il processo di consapevolizzazione, può vivere e attraversare tutti quegli elementi, consci e inconsci, che possono ostacolarlo. Un ruolo significativo tra tali elementi psichici è certamente occupato dalla paura e dai suoi gradienti (timore, terrore, panico, angoscia, ansia, …). La propria sicurezza ontologica, derivante dallo sviluppo di principi attivi di auto-determinazione consapevole, aiuta nella gestione di tali stati disfunzionali, ponendo in remissione anche risonanze e proiezioni di paura e spavento verso ciò che accade intorno (guerre, violenze, discriminazioni, ladri nascosti in casa e via discorrendo). L’auto-realizzazione personale fa sentire la spinta alla trasformazione, al cambiamento, e quindi a dinamizzare fino ad uscire dalla sofferenza: la paura si trasforma in auto-determinazione realizzativa e consapevole, Phobos diviene Kraino (io compio!).
La non consapevolezza vissuta delle proprie funzionalità psico-somatiche innate e acquisite (derivanti dalla propria storia personale, dai significati culturali, ecc.) è alla base di psicopatologie legate strettamente alla paura:
la non conoscenza può generare paura per l’ignoto,
per ciò che appunto non si conosce, perché forse non ancora consapevole, perché ancora non si contiene il significato ad esso associato psichicamente e simbolicamente dentro la propria coscienza. Lo spaesamento, lo sconcerto e la paura possono spingere la psiche dell’essere umano che li esperisce a cercare di contenerli entro un certo limite, e il limite della psiche è il corpo, la nostra protezione, il confine tangibile della propria individualità, difatti una forma di paura è proprio quella della smaterializzazione del corpo.
Il mostro
Durante il gioco con i bambini, è possibile assistere alla manifestazione della paura attraverso varie immagini, tra cui l’immagine del mostro che prende forma, essa viene edificata per mezzo dell’immaginazione creativa. Il mostro è una costruzione mentale che possiede già uno spazio nella coscienza, costruzione tramandata per via ereditaria e culturale e origina da un’associazione di immagini e dalle proiezioni che l’individuo fa su queste forme, dalle (in) accessibili profondità del proprio Io-psyché, talvolta emergono quindi questi elementi proiettivi che possono assumere una forma mostruosa.
Il bambino, attraverso la magia del vivere immaginativo e creativo, anima le proprie forme interiori, proiettandole all’esterno. Chiedendo ai bambini di parlare delle loro paure, in modo libero, non direttivo, molto spesso parlano della paura del buio e soprattutto della paura che nel buio ci sia, appunto, un mostro. Nel loro immaginario, esso è una creatura deforme e sgraziata, con denti aguzzi, una grande bocca e intenzioni malvage, hanno paura che sia venuto a prenderli per portarli via, per ucciderli, per divorarli, difatti il mostro mina sempre l’integrità del corpo fisico. In un caso specifico, un bambino, L., descrive il proprio mostro come un lupo, un orso e, molto spesso, come un Minotauro, un essere dotato di una grande forza fisica contro cui non può competere e che suscita talmente tanto timore da non poter fare altro che nascondersi sotto le coperte. La paura di questo mostro si presenta non solo prima di andare a dormire, ma ogniqualvolta il bambino si trovi in uno spazio buio. Ecco che all’improvviso gli sembra di vedere gli occhi rossi del mostro che lo stanno guardando e di sentirne il respiro.
Il minotauro: l’istinto non integrato nel labirinto
Perché proprio un Minotauro? E qual è il suo significato?
Il mito narra che il Minotauro fosse richiuso nel leggendario labirinto di Cnosso, composto da un intrigo di stanze e di gallerie costruito da Dedalo. Secondo alcune tradizioni questo stava a simboleggiare la complessità, gli intrighi labirintici della vita, dell’esistere. All’interno viveva il Minotauro, un mostro dal corpo umano con la testa di toro, simbolo della parte istintiva dell’essere umano. Ogni anno il Minotauro divorava sette fanciulli e sette fanciulle, e cibarsi di carne umana è un processo che, secondo alcune tradizioni, significava essere identificato nei bisogni istintivi, nelle pulsioni, nello stato di coscienza che spesso crea vie senza uscita sulla strada della conoscenza, che mantiene l’Io in balia di opposti che danzano stordenti. Infatti, l’identificazione nel solo istinto, non ancora emozione con un significato ben chiaro, produce continuamente bisogni e pulsioni che richiedono di essere soddisfatti, essi possono spesso significare un blocco della presa di consapevolezza di significati che potrebbero apportare nella coscienza l’integrazione e il superamento di tali opposti e ambivalenze.
L’imprigionamento dell’istinto e l’angoscia della coscienza
Il Minotauro, però, è anche un essere che vive in solitudine, che non gode dell’accettazione da parte degli altri, i quali rifuggono da ogni contatto con lui, tanto addirittura da arrivare ad imprigionarlo, lasciandolo costretto a vagare in un luogo senza uscita. La parte istintiva, sulla soglia dell’emozione, di L., deve essere ancora relegata, imprigionata nel labirinto, non può ancora manifestarsi pienamente alla luce, ma deve restare nell’ombra, forse perché nel momento in cui l’istinto potrebbe acquisire la valenza di emozione, quest’ultima potrebbe essere troppo forte, troppo feroce e angosciante per poter essere tollerata e contenuta da una coscienza non ancora adulta.
Aggressività, conflitto con l’adulto
L., esprime una forte emotività: vive ciò che gli accade con una grande carica istintiva-emozionale e compartecipa gli eventi emozionandosi molto (euforia, eccitazione, rabbia e violenza). L’irruenza è la sua modalità di approccio al di là del sentimento che vuole dimostrate, ad esempio saluta saltando addosso per abbracciare (spesso quando la persona è di spalle), l’immaginario agito nei suoi giochi sono lotte e combattimenti, attraverso varie modulazioni e sfumature di aggressività. Molto spesso associa però l’aggressività alla violenza, è provocatorio con tutti e sfida l’autorità, ripete in modo stereotipato modelli maschili che ha vissuto in famiglia come coercitivi e violenti (impersonifica, ad esempio, il padre padrone che minaccia, picchia e punisce i figli non ubbidienti). Provoca e si oppone alle figure di riferimento adulte, ma è spaventato dalle reazioni che esse potrebbero avere e in caso di conflitto, superato un certo limite, difatti, scappa o abbandona la lotta, inoltre gli attacchi fisici più forti vengono sferrati da L. quando l’adulto è girato di spalle e non può vederlo. Dopo essere stato lasciato libero di esprimersi, tende a sdraiarsi e a lasciarsi contenere a lungo per poi restare in prossimità. Durante un gioco specifico, ha incontrato il mostro/adulto cattivo che tentava di acciuffarlo, dapprima ha cercato di fuggire per poi, facendosi coraggio, ha cercato di affrontarlo e al termine di una lunga e strenua lotta, ha inferto il colpo mortale.
La morte simbolica dell’adulto
Difronte la morte simbolico-reale dell’adulto le sue reazioni sono state innanzitutto quella di accertarsi che l’adulto fosse effettivamente morto, una volta costatato che la morte era reale, ha iniziato a tentare di resuscitarlo per restare in prossimità del corpo morto in preda ad una forte ansia e aumentando i tentativi di resurrezione. L’adulto vinto, steso al suolo, con gli occhi chiusi, non è più dannoso, non minaccia più, in questa situazione simbolica ha perso il potere, il bambino si sente libero, e si sente anche libero di esperire il sentimento di forte bisogno che ha dell’adulto.
Nel vissuto del bambino in questione, l’adulto e, nello specifico la figura maschile, sono il simbolo della potenza, dell’autorità del potere e della frustrazione del suo desiderio. Questi non ne è cosciente e attacca perché avverte una pulsione aggressiva che proviene dal suo inconscio, alla quale obbedisce ciecamente. Giustifica la sua aggressione attraverso tali produzioni immaginarie che esprimono il suo modo inconscio di percepire l’adulto: il Minotauro, appunto, il mostro, il lupo, l’orso, la Strega, altro personaggio malefico dal potere occulto. Tutti i bambini hanno in sé questi fantasmi, questi desideri aggressivi, ma affinché possano esprimerli occorre che l’adulto li comprenda e li accetti. L’aggressività, come la sessualità, rappresenta un argomento tabù, a cui sono attribuiti dei giudizi negativi qualora venga espressa, sia verbalmente che attraverso il comportamento.
Ai bambini viene insegnato che la rabbia non va manifestata, non “è buona educazione, non ci si comporta così”, se ci si arrabbia allora significa che siamo “bambini cattivi”,
ma lasciate libere di esprimersi,
allora le tensioni aggressive si risolveranno in un gioco
che diventerà sempre più simbolico
e il bambino vi acquisirà progressivamente un’indipendenza, che non è sottomissione né opposizione, ma accettazione ragionata, ricerca di un compromesso, armonizzazione dei propri desideri.
Il bambino difronte l’adulto esperisce il suo vissuto di inferiorità: l’adulto ha il potere, la forza fisica, quella intellettuale e morale. Il bambino non ha altre possibilità che sottomettersi o ribellarsi, come nel caso specifico in esame. Affinché si possa instaurare un vero dialogo, occorre che in certi momenti il bambino sia riconosciuto nel proprio desiderio, garante della sua identità, e che possa imporre questo desiderio all’adulto: questa situazione, momentanea, ma simbolica, ha l’effetto di desacralizzare il personaggio adulto. Costui conserva il potere nella realtà, ma perde il suo potere mitico, la sua onnipotenza magica e occulta nell’immaginario del bambino, perde la sua mostruosità inaffrontabile.
Il mostro nell’immaginario moderno: da frankie a golem
L., attualmente, manifesta ancora alti livelli di rabbia e aggressività verso l’adulto, ma di notte, quando il Minotauro prende forma, ha iniziato ad accendere la luce e a capire che non c’è nulla da temere.

Il caso di L., è un esempio di creazione immaginativa di un mostro, una produzione spontanea, ma gli strumenti utilizzati dai bambini per giocare non sono soltanto fantasia e immaginazione, ma anche giocattoli, preconfezionati e precostituiti dagli adulti.
Tempo fa un giocattolo ha attirato la mia attenzione. Esso è una bambola a forma di mostro, ma la cosa che mi ha colpito è stata la diversa rappresentazione del mostro, forse diverso nel mio immaginario personale.
Frankie

Il nome della bambola è “Frankie” appunto perché sarebbe la trasposizione femminile e fashion della celeberrima creatura del dottor Victor Frankenstein.
Frankenstein, o il moderno Prometeo (Frankenstein; or, the modern Prometheus) è un romanzo gotico, horror, fantasy scritto dall’autrice britannica Mary Shelley, in cui vi sono narrate le vicende esistenziali del dottor Frankenstein, la cui vita venne sconvolta dalla morte per scarlattina della madre. Posto difronte all’ineluttabilità del fine vita, il dottore iniziò a coltivare segretamente il sogno impossibile di creare un essere umano più intelligente del normale, dotato di salute perfetta e lunga vita, tale essere umano addirittura avrebbe preso forma dall’insieme delle parti di altri corpi morti, simbolo della sconfitta della morte. La creatura verrà così realizzata e portata in vita, ma fin da subito appare deforme e sgraziata alla vista, nonché dotata di una forza fisica smisurata, e fuggirà nella notte, portando con sé il diario personale del suo creatore, che, colmo di disgusto, lo abbandona al suo destino. Senza addentrarci troppo nella trama del romanzo, ciò che ritengo sia molto interessante in questo romanzo, è la simbologia racchiusa nella creatura del dottor Frankenstein, ovvero il Golem.
Golem
ll golem è una figura antropomorfa immaginaria della mitologia ebraica e del folclore medievale. Il termine deriva probabilmente dalla parola ebraica gelem, che significa “materia grezza”, o “embrione”, e indica la “massa ancora priva di forma”, che gli ebrei accomunano ad Adamo prima che gli fosse infusa l’anima. In ebraico moderno golem significa anche robot. Secondo la leggenda chi viene a conoscenza della Qabbalah, e in particolare dei poteri legati ai nomi di Dio, può fabbricare un golem, un gigante di argilla forte e ubbidiente, che può essere usato come servo, impiegato per svolgere lavori pesanti e come difensore del popolo ebraico dai suoi persecutori. Il golem è una figura senza vita che può avvicinarsi ad essa qualora venga insufflato di un’anima, ma restando comunque sempre in una dimensione di sottomissione rispetto il proprio creatore. Nel romanzo, la creatura invece si ribella al proprio creatore, addirittura scappando e macchiandosi di atti violenti. Ciò che era morto, ciò che non aveva forma, ed era privo di coscienza, adesso è vivo e prende il sopravvento sugli altri, maturando una propria intenzionalità.
Nella coscienza, esistono zone sopite di cui non si ha consapevolezza, elementi psichici inconsci che permangono nel magma non differenziato della psiche, elementi non mentalizzati, che si manifestano sottoforma di simbolo. Talvolta quando gli elementi giungono alla coscienza, la loro assimilazione dilata il campo della coscienza, più l’Io-psychè assimila i contenuti dell’inconscio e più si avvicina a tali estensioni di coscienza. Tale integrazione è una componente indispensabile all’individuazione ed è un processo senza fine, non potrà mai esservi la completa integrazione degli elementi dell’inconscio collettivo, l’Io-psyché può solo procedere attraverso la presa di consapevolezza di ciò che prima era a lui inconscio, è questa assunzione
la lapis philosophorum, la pietra filosofale, il raggiungimento della coniuctio oppositorum e dell’auto-trascendenza.
Talvolta, però, quando elementi inconsci giungono alla coscienza dell’Io senza un’adeguata consapevolizzazione, si può verificare ciò che Jung ha descritto come una catastrofe psichica, ovvero gli elementi inconsci prendono il sopravvento e la coscienza viene mossa da essi, ciò che era sopito, informe, prende vita ribellandosi alla coscienza dell’Io.
Ma ritorniamo alla bambola Frankie. Sicuramente è difficile provare a intravedere in questo giocattolo la simbologia del golem, anche perché a prima vista non sembrerebbe neanche rifarsi alla creatura del romanzo di Mary Shelley, ma in essa ho trovato un esempio di un cambiamento nell’immaginario collettivo del mostro, che da terribile in questo caso è divenuto terribilmente fashion.
La raffigurazione del cutting e il corpo come contenitore psichico
La prima cosa che ho notato è che la bambola sia ricoperta di tagli e cicatrici, aspetti che, se non associati immediatamente alla raffigurazione della creatura del dott. Frankestein, potrebbero sembrare più che altro effetti di pratiche autolesioniste, nello specifico del cutting. I comportamenti autolesionisti, da un punto di vista psicopatologico, si associano a quadri patologici come il disturbo alimentare (anoressia, bulimia, binge eating), di per sé caratterizzati da eccessiva attenzione verso il proprio stato corporeo e dalla sua manipolazione e a difficoltà di base nell’autostima e nella gestione delle emozioni. In questi disturbi, l’autolesionismo è l’azione attraverso cui il giovane agisce una volontà distruttiva, all’annullamento del proprio corpo. Tali pratiche sono riscontrabili anche all’interno di sub culture giovanili, come gli emo, i dark e i gothic, i cui membri si avvalgono spesso della pratica del cutting ed è possibile trovare in Internet anche numerosi blog pregni di istruzioni dettagliate su come tagliarsi e dove, senza rischiare il suicido oppure come tagliarsi e dove anche per procurarsi la morte. La pelle simbolicamente rappresenta una membrana che si struttura nelle prime relazioni con l’oggetto primario e delimita i confini tra mondo interno ed esterno, con il compito di mediatore e contenitore degli elementi psichici di affetto, pulsione ed emozione. La pelle è una grande superficie proiettiva, su cui diventano visibili processi sia somatici che psichici, il bambino si serve psichicamente, durante le fasi precoci dello sviluppo, dell’involucro corpo-pelle per rappresentare se stesso come Io che contiene i contenuti psichici, a partire dalla propria esperienza della superficie del corpo. Alle funzionalità innate complessive del neonato, si sovrappone la struttura della famiglia, dei tutori, delle diverse esperienze che creano in lui delle impressioni, delle introiezioni, e ne sarà significativamente segnato e indotto a creare immagini simbolico-reali conseguenti a tali processi.
Che significato assume per il cutters lacerare la propria pelle?
Significa squarciare il confine Io non-Io,
significa l’andare oltre
che consente di scaricare il disagio interiore, la sofferenza, il caos interno producendo un senso di rilassamento
- non solo a livello psicologico, perché almeno per un po’ ci si occupa del dolore fisico,
- ma anche fisiologico, a causa del rilascio di endorfine come conseguenza della ferita.
Tagliarsi porta quindi a una sorta di sensazione di calma, come se il taglio placasse l’ansia e l’agitazione e da questo effetto “positivo” del taglio può nascere una specie di dipendenza per cui il giovane ricorrerà all’autolesionismo ogni volta che si troverà in ansia.
L’autolesionismo si associa comunque sempre a un malessere profondo, per cui ci chiediamo il perché di tali gesti e soprattutto che tipo di implicazioni psichiche può avere la raffigurazione di essi su un giocattolo per bambini.
Conclusione
Il gioco simbolico-reale è un potente strumento di conoscenza di se stessi e dell’Altro, ha valore di scarica ed abreazione, di sublimazione di stati psichici che se non espressi restano nell’interiorità repressi, generando conflitto interiore e irrequietezza. Sostenere il bambino nella creazione del gioco simbolico-reale permette forme di connessione maggiormente empatonica e non giudicante e, sempre attraverso il gioco, è possibile arrivare a nuove forme relazionali basate su elementi maggiormente consapevoli sia per i più piccoli che per gli adulti.
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