VIA DI CONOSCENZA SIGMASOFIA

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Nello MANGIAMELI

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 Verso la consapevolizzazione del campo coscienziale

In questo studio, proveniente dall’esperienza, parteciperemo-osserveremo specifiche componenti e funzioni del campo coscienziale olistico-autopoietico.

Senza il campo coscienziale, che evidenzia la forma Io-psyché, non sarebbe tecnicamente possibile nessuna conoscenza diretta e consapevole. La sua azione è la condizione fondamentale di ogni conoscenza.

Il lavoro fondamentale e preliminare consiste nell’indagine diretta e vissuta dell’Io-psyché su sé, per vivere, scoprire e sapere di quali strumenti operativi realmente dispone per la ricerca da attuare nel tutto è atomicamente e coscienzialmente legato, l’Universi, di cui è parte integrante.

In sostanza, l’Io-psyché è lo strumento fondamentale, attraverso cui possiamo arrivare a conoscere, direttamente e consapevolmente, l’autopoiesi che sostiene il fluire della vita e dello stato coscienziale punto morte e le sue costruzioni.

L’Io-psyché è costituito da specifiche funzioni, quali la percezione, i sensi, gli istinti-emozioni, il pensare, il concettualizzare, l’immaginare, il sentire, il volere, le facoltà autopoietiche, tutti gli stati coscienziali producibili, gli archetipi alfa dell’inconscio acquisito, la funzione Ypsi, il campo coscienziale olistico-autopoietico, gli archetipi che lo formano, quelli che permettono di conoscere le cose che sembrano essere a lui esterne, esattamente come è in grado di coglierle. La misura di questo dipende dal grado di autoconsapevolezza che ha saputo raggiungere, ossia quanto di sé ha vissuto e riconosciuto. Tutto è legato, indelebilmente legato, per la percezione interiore e vissuta: non ci sono dubbi.

Tutti gli stati coscienziali creabili dall’Io-psyché hanno, di solito, una componente conscia e una inconscia. Attraverso l’Io-psyché, ci rendiamo conto di rappresentare, in vari modi, le varie parti di noi e di ciò che partecipiamo-osserviamo e sperimentiamo: tutti processi legati tra loro.

Tutto è una rappresentazione, una decodifica, un processo dell’Io-psyché: se non ci fosse, non ci accorgeremmo neanche dell’esistenza di ciò che stiamo partecipando-osservando.

Quando questo archetipo percepisce, sente, immagina, sperimenta (…), ha il potere di vestirsi dell’esperienza che realizza, è un po’ come l’acqua che assume la forma del contenitore. Tutte le esperienze sperimentate e riconosciute fanno parte della sua componente acquisita.

Attraverso l’esperienza del campo coscienziale olistico-autopoietico, la parte acquisita può raggiungere ed evidenziare forme differenti, ma sempre emanazione del funzionamento innato, essenziale. L’Io-psyché è lui stesso, la porta principale da cui entrare e risalire per raggiungere, attraverso il vissuto, i principi attivi autopoietici che lo formano.

Nella pratica vissuta, non si trovano confini tra corpo e Io-psyché o tra Io-psyché e corpo dell’Universi-parte complessivo.

È possibile rilevare e vivere diversi modi di funzionamento dell’Io-psyché. Ne indico alcuni:

  • la facoltà, che può raggiungere attraverso il vissuto diretto, di esprimere insights di varia natura, intuitivi, sincronici, che provengono dal campo coscienziale e dai suoi archetipi olistico-autopoietici.

Può esprimere:

  • tutte le funzioni degli archetipi dell’inconscio acquisito, denominati genericamente alfa
  • azioni che si conformano al movimento della realtà cosiddetta esterna, sensibile, di cui è parte
  • le funzioni dei sensi e di peculiari ipersensibilità.

In definitiva, può esplorare ed esprimere le diverse parti di sé.

Negli approfondimenti, vedremo come l’Io-psyché sia espressione e muova all’interno di un corpo che è atomicamente e coscienzialmente collegato con ogni altro elemento della realtà dell’Universi. In tal senso, è l’avanguardia di un movimento grandioso, che trascende l’acquisito individuale, in cui siamo identificati. L’archetipo campo coscienziale olistico-autopoietico è di fondamentale e assoluta importanza, perché è lo strumento operativo di cui l’Universi-parte dispone, per riconoscere e consapevolizzare se stesso.

Una delle caratteristiche fondamentali dell’Io-psyché è legata alle funzioni di sopravvivenza, quando cioè elementi di vita ostacolano o potrebbero ostacolare il soddisfacimento dei metabisogni olistico-autopoietici: in quel caso, l’Io-psyché produce azioni, per così dire, difensive, utilizzando l’archetipo acquisito c.a., per combatterli, risalirli (…).

Quando sente che non ce la fa ad affrontare e a contenere l’ostacolatore al soddisfacimento del metabisogno olistico-autopoietico, l’Io-psyché può produrre un particolare segnale che riconosce sotto il nome di angoscia, a cui, a volte, permette di prendere il sopravvento. Voglio significare che l’Io-psyché ha infinite possibilità di espressione.

Per segnalare la spiacevole sensazione che l’angoscia può suscitare, ricordo che può produrre specifici comportamenti conosciuti come tic, fobie (…), che servono a manifestare quanto gli sta accadendo, fungendo anche da tentativo di autoprotezione.

Il campo coscienziale olistico-autopoietico ha in sé tutte le funzioni, tutti gli automatismi finalizzati ad evidenziare nel corpo fisico ciò che ho denominato archetipo acquisito campo istintivo-emozionale e aggredior (la quantità di campo coscienziale olistico-autopoietico necessaria a tenere acceso, in vita-autopoiesi il corpo fisico).

La pulsione dell’aggredior (la quantità di pulsione olistico-autopoietica a vivere, a conoscere necessaria a far funzionare l’Io-psyché e il corpo fisico), che crea l’esperienza acquisita di ognuno, produce ciò che denominiamo meta-bisogni, bisogni-desideri: sono spinte a sopravvivere e a vivere, a cui si abbinano significati-significanti e definizioni.

Ho potuto partecipare-osservare che l’inconscio acquisito (sia quello collettivo che quello individuale) è formato dagli archetipi alfa e dalle esperienze acquisite. Quando l’Io-psyché li indaga e li vive, li riveste con il significato-significante in cui è identificato in quel momento e che, di solito, corrisponde a elementi della propria storia individuale, al contesto socio-culturale in cui è inserito e muove. In questo modo, dà vita ad esperienze che formeranno altre costellazioni e altri processi che registrerà e integrerà agli stessi che sta partecipando-osservando. Per questo, ogni Io-psyché deve poter osservare e vivere la propria storia acquisita. Spesso, le pulsioni dell’aggredior assumono la forma di peculiari bisogni-desideri che è possibile riconoscere e che possono manifestarsi con un vestito, con un significato-significante, che compensa, che è deviato, che è lo spostamento o altro, rispetto a quello originario. Tutto ciò determina una serie di difficoltà a comprendere le caratteristiche delle memorie e ad arrivare alla loro radice.

Spesso, questi bisogni-desideri sono la copertura di una realtà opposta inconscia, ovvero una ne copre un’altra, in quel momento non assumibile e praticabile da quell’Io-psyché. In ultima partecipazione-osservazione, dietro a queste scatole cinesi, che possono essere molte, si situa la spinta alla sopravvivenza o, più precisamente, la spinta verso la pulsione olistico-autopoietica fondamentale a vivere, a conoscere, quindi, di conseguenza, alla Risalita e consapevolizzazione del campo coscienziale olistico-autopoietico, che fa parte di alcune delle caratteristiche fondamentali dell’Io-psyché, ai fini del vissuto del piano sovrasensibile, non localistico, trans-finito.

Veicolando desideri e costellazioni anche opposte, l’Io-psyché non può fare altro che essere ambivalente (se s’identifica a volte con l’uno o a volte con l’altro). Essendo l’Io-psyché sempre in azione, tutto ciò che viene represso, ributtato nell’inconscio, non ricordato, fa sì che intensità che sono state un tempo coscienti, consapevoli, continuino a rimanere impenetrate, fuori dalla portata del suo livello di consapevolezza. Ma, essendo già state, in qualche modo vissute, non è difficile, durante le Autopoiesi Io-somatiche, raggiungerle di nuovo, consapevolmente.

Il represso, il non ricordato (…), in Sigmasofia non coincide con quello che alcuni ricercatori denominano il Super Io.

Soltanto per dare un riferimento, fin dal concepimento, accade che ogni esperienza vissuta venga memorizzata, registrata. Tutte le relazioni che l’Io-psyché vivrà con le figure parentali, la qualità, la caratteristica del vissuto, il livello di presa di consapevolezza, di assorbimento, contribuiranno a strutturare la sua identità acquisita e faranno parte di alcune delle caratteristiche che questa assumerà, inducendola ad agire o a non agire, con più o meno profondità. Di conseguenza, in realtà, si tratta sempre dell’Io-psyché in azione. Le caratteristiche della memoria raggiunta fanno sentire il loro influsso, anche condizionante, ma questo non è il super-Io, tanto meno inconscio, ma è l’Io-psyché che scopre quella parte di sé, di cui non era consapevole e che può bloccarlo, inibirlo, oppure che può vivere o risalire e transmutare! Quando incontra questi luoghi, queste costellazioni condizionanti e ostacolanti, l’Io-psyché può essere spostato su altre, con caratteristiche, facoltà simili, analoghe, risonanti, ma che diverranno anch’esse realtà da vivere e su cui applicare la Concentrazione-transmutazione autopoietica. Oppure, l’Io-psyché può provare interesse verso oggetti, situazioni sensibili che hanno risonanze con quelle inconsce, memorizzate. Per fare un esempio, spesso la passione verso qualche cosa o qualcuno, nasce per questa risonanza con una memoria registrata, carica di aggredior, di intensità istintivo-emozionali.

Tutti i processi funzionali innati dell’Io-psyché si formano nel campo coscienziale olistico-autopoietico, quindi i principi attivi autopoietici, non locali, innati, transfiniti sono presenti prima del corpo e della formazione del sistema nervoso, cerebrale, che edificano, per specializzarsi in vari stati coscienziali, che denominiamo aggressività, affetto, amore, odio, paura, pensieri, immagini (…). Da questo Io-psyché, si sviluppano, attraverso gli archetipi alfa, applicazioni individuali. Tutti hanno il processo del pensare come funzione, poi uno penserà ad un tema, l’altro penserà ad un altro, costituendo così l’elemento acquisito individuale.

L’archetipo c.a. opera all’essenza, come qualunque altro processo autopoietico innato e agisce al di fuori del linguaggio, della simbolizzazione. Per poter comunicarlo, nasce la necessità che al processo autopoietico sia abbinata una parola, un suono, un atto (…), convenzionalmente condiviso. Altrimenti, se così non fosse, si potrebbe raggiungere quel processo, soltanto attraverso il vissuto, la percezione interiore diretta, mentre è in atto, ma questo non significherebbe essere in grado di comunicarlo ad altri. Entrambe le operazioni descritte sono realizzabili dall’Io-psyché. Esprimendo, attraverso la simbolizzazione convenzionale, quel processo, tutti gli Io-psyché che condividono quella convenzione possono comprendere che ci si riferisce a quel vissuto: è il significato-significante. Se non utilizziamo le parole convenzionali, possiamo comunicare questi stati attraverso la creazione di contesti, di mimiche, di giochi, di una scena-immagine, di disegni (…), attraverso cui il processo autopoietico può essere rappresentato, ma sarà pur sempre una simbolizzazione convenzionale. Comunicare attraverso la simbolizzazione permette all’altro, se comprende quella convenzione, di individuare soltanto e semplicemente una rappresentazione che è stata messa al posto di un processo che, per essere realmente compreso, deve essere vissuto direttamente. Per questo, l’identificazione nel solo linguaggio, nella simbolizzazione, può essere un

grandioso meccanismo di fuga dell’Io-psyché dal vissuto diretto.

In queste manifestazioni, che sono di varia natura, in questa dimensione simbolico-reale, il Docente può individuare la via che conduce ad altre simbolizzazioni o all’autopoietico, da cui anche il processo funzionale che permette il rappresentare simbolico-reale proviene, nasce.

Durante gli stages, raggiungere con l’Io-psyché questa dimensione interiore coincide con il vissuto della dimensione simbolico-reale e della propria condizione di funzionalità e autoconsapevolezza che può assumere numerosissime forme.

Essendo espressione della pulsione-bisogno-desiderio, dello stato coscienziale, quindi di funzioni dell’Io-psyché, la dimensione simbolico-reale può venire agita in varie forme: modificata, proiettata, negata, trasformata in altro. Tutte queste possono rappresentare azioni di difesa per non vedere in sé la caratteristica convenzionale reale di tali processi, perché, ad esempio, vissuta come dolorosa. Si tratta di un meccanismo di fuga, all’interno del meccanismo di fuga. Durante gli stages, si partecipa-osserva anche questo tipo di dinamiche. Il vissuto di tali processi a mediazione Io-somato-autopoietica permette la loro destrutturazione e abreazione, ossia una funzione di sfogo catartico. In casi eccezionali, e se strettamente necessario, queste situazioni possono essere affrontate, osservate, decodificate applicando il momento analitico autopoietico e quindi, immediatamente, la Concentrazione-transmutazione autopoietica sullo stesso.

Come vedremo più avanti, nell’Io-psyché, operano principi attivi autopoietici di non località che sono osservabili dopo che l’Io si è disidentificato dalla propria componente acquisita ed è entrato nella percezione diretta del proprio fondamento autopoietico.

Il vissuto della non località dell’Io-psyché coincide con il superamento della riduzione-collasso della funzione campo M.A.C.

Torniamo.

Non esistono funzioni tra loro separate, come l’inconscio e l’Io-psyché. L’inconscio corrisponde alla componente dell’Io ancora non esplorata, vissuta consapevolmente.

L’Io-psyché esprime sempre lo stato di consapevolezza che ha di sé. Alla nascita, è olisticoautopoieticamente maturo, nel senso che è pronto a funzionare. I suoi processi di funzionamento sono attitudini, orientamenti, facoltà anche complesse, ma sempre autopoietiche, che scopriremo essere dotate di potenzialità, di principi attivi, che possono maturare soltanto nel sensibile, nell’acquisito, per poi essere utilizzati nella scoperta vissuta delle caratteristiche innate che lo compongono. Essendo i piani Io-somatici ed autopoietici indelebilmente collegati e formanti un’unità, è ovvio partecipare-osservare che, quando si zoomma con l’Io-psyché su uno, si possono vedere le caratteristiche che assume a quel livello.

Ho partecipato-osservato che l’Io-psyché può agire atti in più o atti mancati, quando, dietro uno stato coscienziale, di cui è consapevole e che esprime una certa volontà, ne percepisce un altro di segno opposto e ad esso collegato, che a sua volta esprime una volontà differente. Nel momento in cui l’Io-psyché si accorge di loro, immediatamente la risonanza tra i due può permettere di raggiungere, di sentire la differenza d’intensità tra diversi tipi di volontà e, in questa doppia e confusiva percezione, scatta l’atto mancato o l’atto in più, di cui l’Io-psyché, di solito, può prendere coscienza soltanto dopo che lo ha espresso. Per poter essere agito, infatti, deve arrivare sul piano del funzionamento sensibile: l’Io-psyché deve crearlo, raggiungerlo, altrimenti non potrebbe dare il comando, per realizzarlo. L’unica concessione è il fatto che, successivamente, partecipando-osservando quanto è accaduto, lo si può vedere, capire meglio, ma se l’atto c’è, il piano sensibile, neocorticale, della consapevolezza, deve necessariamente trovarsi in azione.

Durante gli stages, nel dare le consegne, le proposte del gioco a mediazione Io-somato-autopoietica che escludono il linguaggio verbale, ho visto migliaia di gesti, di comportamenti aventi caratteristiche interpretabili come opposte a ciò che intendevano comunicare. Ricordo il caso di un ricercatore che, al primo incontro, riferiva, con forza, di essere una persona molto aperta, disponibile e che questa era la sua qualità. Diceva: Se una cosa si può dire con sincerità di me è che sono una persona aperta e disponibile. In almeno dieci occasioni (quelle da me registrate), durante le verbalizzazioni di gruppo, ogniqualvolta qualcuno parlava di lui, o lui stesso parlava di sé, assumeva automaticamente una posizione curiosa e significativa: accavallava le gambe e metteva il collo del piede di quella accavallata intorno al polpaccio-caviglia, a braccia conserte, girava la testa verso destra, come a mostrare meno superficie del corpo all’interlocutore, raggrinziva gli occhi, formando delle particolari rughe. Aveva un sorriso smagliante a trecentosessanta gradi e ad ogni frase che sentiva dire da un altro, con la voce diceva: Sì, certo! Ma, simultaneamente, ruotava la testa da destra a sinistra, nella chiara simbolizzazione che corrisponde, secondo la convenzione, al gesto che comunica il no!

In questo caso, palesemente, l’Io-psyché, individuatosi nella manifestazione corporea, nei gesti, nel tono, nella postura, rilevava la situazione vera. Facilmente si potrebbe dire che quei gesti fossero inconsci. A ben partecipare-osservare, se li faceva, era perché agivano al livello del sensibile, della consapevolezza. Quando scattano, e l’Io-psyché lo sa, sono necessariamente coscienti, se così non fosse, non ce ne accorgeremmo: per noi, non esisterebbero. Il fatto che quella persona apparentemente non se ne rendesse conto, fa parte ed è spiegabile non con la motivazione che l’atto è inconscio, ma con una forma di sonnambulismo dell’Io-psyché che, pur essendo consapevole dell’atto che agisce mentre lo fa, lo annulla subito, lo fa scomparire, perché è fortemente identificato nel processo, nell’immagine, che in quel momento segue.

Quella indicata è una situazione classica che si evidenzia durante gli stages, in cui il ricercatore, di partenza è convinto di aver vissuto uno stato coscienziale di un certo tipo, di una certa valenza e con determinate caratteristiche e, contemporaneamente, il tono, i gesti, le posture, le azioni, esprimono stati coscienziali diametralmente opposti, di cui, ripeto, in qualche modo, l’Io-psyché non può non essere consapevole, quando li agisce.

Sono soprattutto queste azioni, per così dire, sonnamboliche-involontarie, di cui una parte dell’Io-psyché si accorge, a rivelare l’esistenza di quelle organizzazioni inconsce.

È vero che molte azioni possono svolgersi ed essere registrate inconsciamente, ma acquistano un significato-significante, uno specifico valore, soltanto quando l’Io-psyché e i suoi strumenti le creano: ripeto, altrimenti è come se non esistessero. Non avrebbero senso per la ricerca. È uno dei motivi che mi ha spinto a dare l’indicazione che le valutazioni, rilevate dal Maieuta, devono essere fatte e date soltanto quando l’Io-psyché del ricercatore, creandolo, prende consapevolezza del processo, perché se così non fosse, quello che gli verrebbe detto risulterebbe non riconoscibile. La caratteristica partecipata-osservata deve essere almeno prossima al livello di raggiungimento vissuto, da parte del ricercatore, dell’Io-psyché. Il livello del sonnambulismo dell’Io-psyché o di sparizione, di annullamento, frequentissimo, è una delle posizioni prossime.

Da ciò, si evince che il ricercatore prende consapevolezza direttamente del processo che lo riguarda, ma se fa questo, che senso può avere l’intervento del Maieuta? Diviene, per così dire, superfluo! Da queste partecipazioni-osservazioni, nacque l’indicazione che tanto stupì alcuni ricercatori anni fa, quando dissi che si può misurare la bravura, la professionalità, l’arte, l’empatonia, la capacità di un Maieuta dall’assenza di parole e di atti, durante la conduzione di un gruppo. Se sono pochi, essenziali, o addirittura non ci sono, ha probabilmente raggiunto altissime avanguardie di professionalità, di arte autopoietica esistenziale, di conoscenza vissuta. La mia affermazione è il segnale verso una direzione di ricerca possibile, ma la cosa arrivò perfino ad indignare alcuni professionisti che, come struttura di riferimento, seguivano vie tradizionali basate sulla sola mediazione del linguaggio verbale, culturale.

L’Io-psyché procede verso se stesso, di atto cosciente in atto cosciente, non può fare altro! È l’unica autorità riconoscibile, un soggetto che, attraverso la sua auto-indagine realizzata attraverso la formazione, progressivamente elimina la propria inconsapevolezza rispetto ad innumerevoli contenuti dell’inconscio acquisito. Man mano che li raggiungerà, scoprirà in sé i sistemi, per risalirli e transmutarli.

L’Io-psyché è l’unico veicolo del potere olistico-autopoietico reale.

L’identificazione dell’Io-psyché soltanto nella componente acquisita coincide con l’ostacolatore all’incontro con se stessi più grave, ossia l’incompletezza della consapevolezza di sé, delle forme inconsce e non deteriorabili, autopoietiche.

Inglobare tutto nel termine Io-psyché, oltre che a semplificare, risponde alle esigenze del vissuto autopoietico dell’Universi-parte.

L’identificazione dell’Io-psyché in se stesso, nel corpo che lo veicola, in contenuti particolari della storia acquisita, è la scissione dall’olistico, dall’Universi-parte: è la sua schizofrenia funzionale! Indagando e risalendo-transmutando se stesso, la propria componente acquisita, l’Io-psyché-se stesso risana la propria schizofrenia funzionale: l’identificazione nel solo acquisito è la discrasia identificativa dell’essere umano, scambiata per normalità. Paradossalmente, entrando sempre a maggiori profondità dentro di sé, ad un certo livello, troverà la connessione indissolubile con l’altro attraverso lo stato di Entanglement Coscienziale Autopoietico, l’unità risanante che è alle radici dell’Io-psyché.

Quando questi si disidentifica, inconsapevolmente e con continuità, dai processi acquisiti normalmente e convenzionalmente riconosciuti e praticati, di solito viene definito schizofrenico. Invece, significa che può aver raggiunto una maggiore profondità e sentire, attraverso il tutto è atomicamente e coscienzialmente legato, gli archetipi alfa come processo funzionale e non come significato-significante, potenzialmente accessibile a tutti. Più si entra dentro di sé e più ci si avvicina all’altro, all’Universi-parte. Non esiste una distinzione tra Io-psyché e non Io-psyché, se non per le speculazioni proiettive dello stesso. In ultima partecipazione-osservazione, non c’è una realtà interna ed una esterna, ma, autopoieticamente, esiste un campo unico (ovviamente, nelle convenzioni acquisite, le cose cambiano).

Autopoieticamente, gli oggetti non sono altro, separato dall’Io-psyché che li percepisce. La differenziazione ci servirà come contrasto, per distinguere l’indifferenziazione dalla sua componente innata, di cui è espressione.

È interessantissimo partecipare-osservare attentamente l’incontro in palestra tra due o più Io-psyché, veicolanti azioni Io-somato-autopoietiche, che possono essere anche contraddittorie, in opposizione, inconsce allo stato di consapevolezza di quel momento. La comunicazione dei diversi inconsci (in realtà, consci) diventa veramente interessante. Lo stesso vale per la comunicazione autopoietica dei campi di forza, delle radiazioni emesse dal corpo: anche queste assumono posizioni, toni, orientamenti che è necessario vivere e che vedremo, dettagliatamente, nel sesto volume, S.T.o.E. autopoietica. Per fare questo, il Docente, con il proprio Io-psyché, è posizionato nella dimensione del campo coscienziale o ad esso prossimo. È da lì che può partecipare-osservare con maggiore attenzione l’evento, il processo Io-somatico che si trova di fronte, e che dovrà aiutare il ricercatore a vivere, a risalire e a transmutare, per permettergli di raggiungere la sua stessa posizione.

Partecipare-osservare, posizionati dal campo coscienziale, coincide con la posizione non proiettiva, non contro-traslante.

Tutto questo non è realizzabile, se il Maieuta non ha raggiunto in piena consapevolezza l’inconscio autopoietico che lo forma e se non è in grado di riconoscere e di interagire con i meccanismi genetici, atomici e archetipici.

È vero che l’inconscio autopoietico e quello acquisito sono sempre attivi, ma se l’Io-psyché non li percepisce, non ne prende consapevolezza, per lui non esistono. Per questo, non è necessario aspettare che le pulsioni, l’archetipo c.a., le memorie si facciano vive, in qualche modo. È l’Io-psyché stesso che, per propria intenzionalità e automotivazione, va a ricercarle. A forza di sperimentare, di vivere, di praticare, di entrare nelle situazioni esistenziali, di allenarsi alla vita e allo stato coscienziale punto morte, andrà a sollecitare e ad essere risonante con qualunque di questi processi. Ebbene, quando una costellazione è raggiunta, in qualche modo, è stata fatta risuonare, inizierà a muoversi, ad operare e a far risuonare altre esperienze registrate, simili, da cui possono nascere ulteriori pulsioni, desideri, stati coscienziali. È a questo effetto di stimolo che l’Io-psyché deve portare attenzione, che deve vivere e, successivamente, risalire e trasformare.

Tale posizione rompe un po’ il meccanismo, spesso lento e stantio, dei metodi che operano, realizzando un comportamento opposto. Ossia, si aspetta che sia l’inconscio a muoversi e ad affiorare sul piano cosciente, che sia il lapsus, il sogno a manifestarsi. In questo modo, ci si assoggetta ad un presunto volere che, di fatto, viene separato dall’Io-psyché: si agisce come se l’inconscio fosse un’entità autonoma. A parer mio, è un altro meccanismo di fuga, dovuto alla scissione, alla separazione che si è attuata. È l’Io-psyché che, allenandosi giornalmente per ore e ore, potenzia la muscolatura per penetrare se stesso, nei contenuti inconsci. È ancora grande in me la soddisfazione quando, dopo anni di sperimentazione, riuscii a vivere il mio primo sogno lucido. Con l’Io-psyché, ero entrato nel luogo dove si dischiude la fase R.E.M.. Potevo contemplare un transfinito fluire di immagini, di forme, registrarle su un notes e meditarci sopra. Non erano pensate, ma scaturivano naturalmente. Fu una sorpresa ancora più grande, quando mi accorsi che l’Io-psyché poteva interagire, essere parte attiva in quei sogni. Non è una questione semantica, è realmente l’Io-psyché l’unico che può raggiungere l’inconscio che lo forma! E questo non è in contraddizione con il fatto che possa realizzarsi tutto ciò, quando siamo completamente abbandonati, senza intellettualità, ma con lucidità. Aspettare che sia l’inconscio a parlare è parte integrante del sintomo di sonnambulismo dell’Io-psyché, di cui parlavo prima (e non mi riferisco al sonnambulismo notturno).

Quando si muovono le dinamiche inconsce di sé, possono muoversi livelli istintivo-emozionali anche dolorosi: tabù, che l’Io-psyché, in conseguenza delle identificazioni nelle realtà che sta vivendo sul piano cosciente, potrebbe non accettare. In realtà, non è un super Io ciò che blocca la pulsione, la memoria stimolata, ma l’identificazione in un processo conscio, di valenza e di significato spesso opposto o più intenso, rispetto a quello che è andato ad incontrare. Per questo, si diventa un laboratorio di ricerca. Significa che affronta qualunque stato coscienziale risvegliato, non importa se interpretato come positivo o come negativo, se doloroso o piacevole, se ritenuto immorale o morale: semplicemente vive, per riconoscerlo, per risalirlo e per transmutarlo. È questa scelta, progressivamente potenziata, espansa, ciò che permetterà all’Io-psyché e alle organizzazioni inconsce che ha creato ed esplorato di non produrre ostacolatori, impedimenti, censure od opposizioni. Tali prese di consapevolezza, atti di espansione diventano propria parte integrante, sensibile e consapevole. Quell’Io saprà più cose di sé, non sarà più sul piano della consapevolezza antecedente a questi vissuti, che progressivamente troveranno il modo e la forma per trasformarsi in azione.

Le componenti acquisite che non rispondono ai metabisogni autopoietici di sopravvivenza, dell’archetipo c.a., possono essere vissute e scambiate per eccesso di identificazione in esse, nei metabisogni autopoietici stessi. In tal caso, ci troviamo di fronte a dinamiche condizionanti l’Io-psyché, molto rigide e difficili da destrutturare e transmutare.

Il fatto che l’Io-psyché registri, nella propria componente Io-somatica, esperienze che vive e raggiunge, non significa che sia formato soltanto da quelle! Le registrazioni cutanee fanno parte della percezione che è il primo e più sensibile livello.

Quando, identificandosi in un tema, in una o più memorie registrate, sente, vive una doppia valenza, una registrazione che la spinge verso qualche cosa e un’altra che la respinge, si evidenzia un’ambivalenza. Può succedere che, per averlo sperimentato, una dica: Congiungiti, vivi, libera la tua sessualità ed un’altra che dica: No, non viverla! Potrebbe quindi accadere che l’Io-psyché si identifichi in una delle componenti. Significa che una pulsione può essere deviata o bloccata dall’archetipo Io-psyché e, ancora una volta, si tratta semplicemente del gioco identificativo dell’Io-psyché, quando si sposta, per così dire, da un luogo coscienziale ad un altro.

L’Io-psyché è un’onda che si muove nel mare ed è sia l’onda che il mare, simultaneamente.

Quando si identifica, zoomma su una, le altre divengono in quel momento a lui inconsce, anche se continuano ad esserci. Ad esempio, è l’incontro dell’Io-psyché con l’affettività inconscia che fa da contrasto e fa riconoscere ed essere consapevoli dell’anaffettività che si sta agendo. È l’incontro dell’Io-psyché con l’odio inconscio che fa da contrasto e fa riconoscere ed essere consapevole dell’amore che si sta agendo. E così via. L’Io-psyché emerge dalle variazioni-contrasto.

È tutta la dimensione acquisita
 che può far riconoscere la dimensione innata.

Si potrebbe dire che una componente dell’Io-psyché è una differenza di potenziale tra due intensità, tra due caratteristiche. È autoriconoscimento, per variazione e contrasto di stato.

In base al dosaggio ed alle intensità, l’Io-psyché assume più o meno la propria consapevolezza. Intensità forti determinano una maggiore identificazione dell’Io-psyché stesso. Ogni volta che l’attenzione va su una, può determinarsi la valutazione critica dell’altra. In realtà, tutto continua ad essere legato e la parte da cui ci siamo scissi continua ad esistere nell’inconscio acquisito (collettivo e individuale), nell’archetipo B., svolgendo una precisa opera di richiamo, di attrazione. Il problema è d’identificazione su un contenuto invece che sull’altro, e non di scissione, che, sul piano autopoietico, non è tecnicamente possibile, essendo l’Io-psyché complessivo un campo unico, inscindibile. Tali giochi identificativi, che si manifestano attraverso un cambio di interessi nell’azione sociale, di vita, rappresentano un allenamento preparatorio alla Concentrazione-transmutazione autopoietica o Risalita complessiva.

L’acquisito, variazione dall’innato, è l’elemento che, per contrasto, ci permetterà di riconoscerlo. L’Io-psyché, in questo senso, è una differenza di potenziale, è la misura della variazione-contrasto dall’automatismo olistico-autopoietico che ci accompagna al punto nascita, senza che se ne sia consapevoli. La costruzione dell’acquisito e le variazioni-contrasto creeranno quello scarto che permetterà l’autoriconoscimento.

Paradossalmente, più la variazione-contrasto è forte, più la differenza di potenziale, la componente acquisita del campo coscienziale è forte. Questo spiega la maggiore intensità di carisma che emanano le persone con una vita avventurosa, piena di esperienze, di variazioni-contrasto e che hanno saputo elaborarla ed estrapolarne la funzione Ypsi.

Tutto sembra iniziare da un Universi non consapevole di se stesso, ma avente in sé i potenziali, il campo coscienziale olistico-autopoietico che, una volta creata la riduzione-collasso del campo M.A.C. (di frequenza, di oscillazione), ha iniziato a creare le variazioni, per attuare la componente acquisita del campo coscienziale. Crescendo e potenziandosi, questa creerà i principi attivi, la funzione Ypsi che, applicata a se stessa, le consentirà di autoriconoscersi.

Nel momento in cui questa coscienza olistico-autopoietica, questo Universi-parte, ancora non consapevole di sé, subisce la riduzione della funzione campo M.A.C., che rientra in uno specifico meccanismo, si evidenzia l’Io-psyché.

La riduzione è uno schiaffo, è uno start, è il click, è una variazione che determina l’inizio dello stato che denominiamo di attenzione vigile che lo scienziato Carl Warnicke localizza nella corteccia cerebrale. È la struttura di riferimento fondamentale dell’Io-psyché (vedremo che è coinvolto tutto il corpo e, in particolare, il sangue).

Nell’inconscio, muove la storia degli archetipi acquisiti alfa dell’umanità. C’è veramente tutto! Queste esperienze registrate sono da sempre lì, in attesa che qualcuno le incontri, le attraversi, le viva, le risalga e le transmuti. In tal senso, anche il meccanismo della rimozione acquisterà un nuovo significato-significante. In realtà, alla partecipazione-osservazione attenta, non può esistere la rimozione inconscia, rispetto alla consapevolezza, di una pulsione, per il solito motivo: non essendone consapevole, l’Io-psyché non si accorge di questo presunto evento tutto inconscio (perché se è tutto inconscio, per definizione, come fa a rendersene conto, mentre si realizza?). E invece, se qualche cosa dell’Io-psyché lo crea e, quindi, se ne accorge, in quel momento non è più una rimozione, ma una repressione consapevole. L’unico processo utile è organizzarsi, per andare a vivere le diverse parti di sé, anche inconsce.

Per l’Io-psyché, tutte le costellazioni inconsce sono dei veri e propri ostacolatori che dovrà riconoscere. Se osservate nel dettaglio, quelle memorizzate evidenziano i significati-significanti e le emozioni che possiamo riconoscere all’esterno: infatti l’esterno, parte del nostro corpo, non può non avere il corrispettivo interiore che le costellazioni appunto o archetipo B., precedentemente memorizzato. Se non ci fosse questa esperienza registrata, l’Io-psyché non potrebbe individuarla. Ogni situazione del fluire del vivere e dello stato coscienziale punto morte ha un suo corrispettivo interiore che ci permette di riconoscerlo. L’esperienza vissuta entra in risonanza, si articola ed è espressione di questi contenuti interiori. Anche la produzione delle risposte è conseguenza di questa linea, prevalentemente perché l’Io-psyché le crea risonanti, in quanto riconosce e produce insights, attingendo ed estrapolandoli dall’intera costellazione. Infatti, spesso si attuano dei comportamenti sorprendenti, imprevedibili, che l’Io-psyché talvolta crea e assume in risposta ad un evento, a cui di solito reagisce con altre modalità.

Si può dire che l’Io-psyché coincida, in gran parte, con gli archetipi b. e c.a., che sono una barriera ostacolatrice potentissima. Si tratta di una rete, pensata e rappresentata in innumerevoli modi, da tradizioni scientifiche e coscienziali, da religioni, culture, società, scuole, storie di vita. L’iconografia e i monumenti ce lo mostrano, ce lo documentano.

È raro vedere all’opera Io-psyché nell’azione quotidiana non mossi dall’archetipo c.a. e B., ma soltanto dai meccanismi autopoietici automatici, creatori. Per questo, la Concentrazione-transmutazione autopoietica e la trasformazione dell’inconscio acquisito della barriera ostacolante è di vitale importanza.

Ogni azione, ossia l’Io-psyché, è quindi in diretto collegamento con tutto l’inconscio e in particolare con l’archetipo B.. L’inconscio acquisito è formato dalle esperienze dell’umanità, nessuna esclusa, ciascuna delle quali, registrata, rappresenta un riferimento, un asse composto da tutte le altre ed è a queste collegata. In tal senso, non è necessario raggiungere la costellazione primaria, il conflitto, la causa prima: è un’ottica da modificare, in quanto tutto l’acquisito è da risalire e da transmutare. Se l’Io-psyché vuole arrivare a vivere gli ingredienti autopoietici che lo formano, pre-acquisito, deve essere in grado, tra l’altro, di aprire un varco in questa barriera sensibile e sovrasensibile, attraversare e così raggiungere la percezione diretta dell’inconscio autopoietico, di cui è egli stesso espressione.

Quindi, poiché l’inconscio e i suoi contenuti sono collegati gli uni agli altri, non è vero che, esplorando e seguendo una traccia, si arriva a quella che dovrebbe essere la causa originaria, ma ci si può spostare e proiettare ovunque, in qualunque memoria, incontrando altre realtà, soltanto in apparenza completamente scollegate l’una dall’altra. È il senso e la funzione complessiva di tutto l’inconscio acquisito, quello che è necessario vivere e comprendere. Lì, si possono incontrare alcuni luoghi, che hanno un potere di attrazione e di assorbimento impressionante. Quando vengono raggiunte, l’Io-psyché può fissarsi in loro, perché possono avere intensità di aggredior (di campo istintivo-emozionale) molto forti, che possono sovrastarlo. Possono essere più forti e più intense del livello di autoconsapevolezza ed è questo che potrà costringere l’Io-psyché ad una serie di coazioni a ripetere, soltanto in apparenza fisse e discrasiche. Non dimentichiamoci, però, che queste zone sono parti integranti dell’Io-psyché stesso. Infatti, è anche vero che in quel momento l’Io-psyché è identificato con intensità autopoietiche dell’archetipo c.a. intense ossia le stesse che, se spogliate del loro significato-significante e vissute come puro campo di forza, potrebbero dare lo slancio per essere superate. È arte marziale interiore, autopoiesi olosgrafica marziale, judo interiore, danza autopoietica: è l’allenamento che propongo all’Io-psyché, sfruttando i campi di forza che incontra, spogliandoli del loro significato-significante, in modo da dargli la spinta per continuare ad esplorare se stesso, l’inconscio, a risalirlo e a transmutarlo.

Quando l’Io-psyché si espande e prende coscienza di cose che prima erano a lui inconsce, incontra di solito uno stato coscienziale, una costellazione, un ostacolatore per volta e gli sembra di percepire soltanto quelle caratteristiche ed intensità. L’abitudine maturata nel sensibile ad agire un solo stato coscienziale, applicata nel profondo, attua un sistema di filtro e di forte riduzione dell’enorme potenza che, utilizzata simultaneamente, l’inconscio acquisito potrebbe dare. L’archetipo campo coscienziale olistico-autopoietico riesce a ricavare e a riconoscere soltanto la caratteristica della costellazione, della memoria che incontra, elemento che, tutto sommato, è utile, al fine di potenziare progressivamente la propria autoconsapevolezza. Per esempio, quando nella relazione, si manifesta un episodio di aggredior-out, senza l’adeguata conoscenza di quanto sta accadendo, possono manifestarsi crisi discraiotiche. Se saputo gestire, l’irrompere dell’aggredior-out può essere utile a velocizzare l’attività di ricerca, ma se non c’è competenza nel trattarlo, può essere gravemente ritardante ed inibente.

Mi è capitato di osservare ricercatori raggiungere notevoli profondità di se stessi, senza cadere in questi acting o aggredior-out. Ci vuole più tempo, ma è consigliabile. Dipende anche dalla pazienza che si è in grado di produrre. Se si riesce a produrne molta e ad entrare nella progressione lenta, ogni vissuto sarà facilmente assimilato e integrato. Al contrario, l’assenza di pazienza, l’eccesso di irruenza e di passionalità possono rappresentare un innesco più facile all’ossessione.

Quando l’Io-psyché si apre al proprio inconscio non regredisce, ma prende semplicemente coscienza di parti di sé, a lui prima ignote.

In questo senso, la regressione semplicemente non esiste. Prendere coscienza qui ed ora di una costellazione, di una memoria registrata, per esempio al momento della nascita, è semplicemente una presa di coscienza attuata dall’Io-psyché. Questo non significa regredire.

Non c’è un solo significato nell’inconscio, ma tutti quelli che lo costituiscono (sempre attribuiti dall’Io-psyché). Per questo, anche penetrare sempre più i livelli che circondano l’esperienza che sembra essere quella iniziale, in ultima osservazione, pur aiutando, non risolve la questione, appunto perché indelebilmente connessa a tutti gli altri.

La coscienza, l’Io-psyché è il risultato di attività neuroniche dell’intero corpo, del sistema nervoso, del cervello, degli archetipi alfa e del campo M.A.C., che si svolgono selettivamente, appunto perché s’identifica in particolari contenuti, inibendo contemporaneamente altri neuroni. Se questi processi funzionassero simultaneamente, cambierebbero le caratteristiche dello stato coscienziale, dell’Io-psyché. Tutto questo è anche misurabile, oltre che attraverso lo sguardo interno, diretto, anche con l’elettroencefalogramma, nei processi di desincronizzazione. L’Io-psyché è la radiazione che permette di investire un tema, percependolo, coinvolgendo specifici circuiti cerebrali, sensoriali. Si ha, quindi, un ritorno agli stessi circuiti e si determina un confronto con ciò che è già stato registrato con l’archetipo B. Da queste corrispondenze o mancate corrispondenze, si hanno manifestazioni particolari della coscienza, dell’Io-psyché. Il fatto percettivo è riconosciuto da specifiche zone neocorticali che, come si osserva, hanno in sé gli avvenimenti passati. Ripeto, tutto questo può realizzarsi per determinazione del campo M.A.C. e degli archetipi alfa, che possono stimolare zone encefaliche per mezzo delle quali riconosciamo il nostro schema corporeo e il funzionamento d’insieme: per variazione e contrasto, lo vivremo come differente dal fatto percepito. Non dimentichiamoci però che tutto è atomicamente e coscienzialmente legato. Tutte queste operazioni neocorticali vengono integrate a pensieri, idee, che successivamente potremo trasformare in linguaggio convenzionale, verbale o corporeo.

La consapevolezza, da parte dell’Io-psyché, del proprio ambiente interiore, autopoietico (o orientato verso tale condizione), è la condizione fondamentale verso maggiori conoscenze e, implicitamente, verso uno stato di salute e di equilibrio. Ogni spostamento da questo stato o orientamento può essere considerato una distrazione, una variazione, che può assumere la valenza di sintomo o di disturbo.

Sul piano della consapevolezza, si tratta di una frattura dalla componente sovrasensibile, che determina un aumento dell’identificazione nelle sole forme acquisite, creando la condizione di discrasia generalizzata, o di sonnambulismo dell’Io-psyché nello stato di veglia, corrispondente a scarsa consapevolezza dell’autopoietico innato, situazione che osserviamo, nel mondo, in molti.

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