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DALL’IO-CENTRICO ALL’UNIVERSI-PARTE CENTRICO

Il termine ego-centrico (Io-centrico) descrive il comportamento dell’Io-psyché dell’essere umano quando pone se stesso e i propri contenuti acquisiti, i significati-significanti di ogni natura e genere, compresi quelli ostacolanti-discrasici,

al centro della propria vita e come unico interesse
delle esperienze che si autorizza a vivere.

La Sigmasofia assume, come suo interesse formativo e vissuto fondamentale,

l’Io-psyché che si forma a se stesso,

intendendo esattamente ciò che si forma alla fisiologia, e ai principi attivi innati che hanno saputo edificare l’Io-psyché, indipendentemente dai significati-significanti acquisiti, dalla sua cultura e dalle opinioni.

Quando un ricercatore inizia il proprio percorso formativo i contenuti con cui si presenta sono nella stragrande maggioranza dei casi contenuti e significati-significanti acquisiti, facenti parte della sua storia acquisita:

è rarissimo che si presentino Io-psyché
consapevoli della propria eziologia innata.

È dunque inevitabile che il ricercatore evidenzi il proprio Io-centrismo, che sostanzialmente lo rende un sistema auto-referenziale, intendendo con questo che quella storia, cultura acquisita si riferisce direttamente a se stessa, motivo per cui utilizza il pronome Io.

I ricercatori identificati-fissati in tale modalità mostrano sostanzialmente di trascurare la presenza, la cultura e i contenuti dell’altro che tuttavia utilizzano sempre in funzione della propria auto-referenzialità, trascurando, di fatto, l’empatia, la fusionalità con loro.

Gli studi scientifici e Sigmasofici, rispettivamente sull’entanglement micro particellare e su quello coscienziale, ci indicano che a livello innato l’essere umano si trova appunto in stato di entanglement, vive ed opera

il principio di non separabilità micro-particellare e coscienziale

che coinvolge ogni parte componente l’Universi (esiste più di un Universo). In questo quadro, il ricercatore che si presenta con il proprio Io-centrismo acquisito può dire legittimamente di se stesso di stare funzionando in modo incompleto, in quanto identificato-fissato nel solo culturale acquisito. Per questo motivo, per aiutarlo a tendere verso una maggiore completezza, dopo l’attraversamento dell’acquisito (vedi le Autopoiesi Io-somatico, momento analitico), si procede verso i vissuti dell’innato. Raggiunto questo livello di vissuto, ossia quando ci si rende conto di essere interconnessi a livello micro-particellare e coscienziale con ogni altro che vive, si può provare empatia, fusionalità, ci si sente entangled con ogni altro essere o parte-Universi, non in conseguenza di un’operazione intellettuale ma come azione vissuta.

A questo punto, emerge un processo peculiare: prima si ritiene di essere un sistema autopoietico, che definisce e ridefinisce se stesso e che, in assenza di dipendenze acquisite, ritiene di poter auto-sostenersi e riprodurre autonomamente. Con il vissuto dell’entanglement coscienziale, ci si rende conto di essere parte inscindibile di Universi e che a livello innato tale Universi-parte è autoreferenziale e autopoietico in quanto i processi innati ridefiniscono continuamente loro stessi e si sostengono e riproducono autonomamente.

Se avete seguito, riconoscerete che a livello acquisito ridotto localistico personale riproduciamo autoreferenzialità autopoiesi che funziona così per natura innata nell’Universi: siccome siamo identificati in noi stessi nella nostra cultura, che cos’altro potevamo fare se non applicare questo processo alla nostra conoscenza incompleta? Per questo motivo, è di fondamentale importanza

la transmutazione di esseri Io-centrati in esseri Universi-parte centrici.

Ciò non significa ovviamente non saper differenziare il proprio punto di vista, il proprio sapere acquisito da quello altrui, quanto di vivere e riconoscere che ogni cultura acquisita differente per ognuno poggia e si evidenzia da funzionalità innate entangled da un Universi-parte inscindibile che siamo: si tratta dell’integrazione del vissuto olistico al vissuto acquisito, emancipando quest’ultimo dall’identificazione fissazione soltanto in se stesso.

Spesso durante la formazione incontro ricercatori che utilizzano insistentemente (in modo sproporzionato) la parola Io: si tratta di esseri umani che continuano il loro discorso che impongono quasi la loro opinione incuranti delle parole degli altri. Il fatto di riuscire ad essere in grado di porsi dal punto di vista altrui non è ancora sufficiente per poter affermare di essere usciti dall’Io-centrismo, dall’autoreferenzialità acquisita.

L’Io-centrismo acquisito spesso si evidenzia volendo perseguire le proprie finalità i propri interessi acquisiti che si affermano anche quando danneggiano o limitano gli interessi del prossimo. Di fatto quegli Io-psyché entrano in un vissuto che è definibile di solitudine acquisita che ricade e si evidenzia nel socio-culturale nella relazione, in un rinforzo parossistico nell’identificazione-fissazione nel solo acquisito di se stessi.

Si partecipa-osserva che via via i ricercatori entrano di più in loro stessi, penetrando il loro stesso acquisito, si rendono conto che i significati significanti acquisiti le opinioni espresse sono all’interno di stati Io-somatici.

Spiego:

  • quando si pensa a qualche cosa, ci si può improvvisamente rendere conto di poter farlo, in quanto in sé esiste ed è attivo il processo fisiologico innato del pensare;
  • quando ci si emoziona, ci si può improvvisamente rendere conto di poter farlo, in quanto in sé esiste ed è attivo il processo fisiologico dell’emozionare;
  • quando si immagina qualche cosa, ci si può rendere conto di poter farlo in quanto esiste in sé il processo fisiologico dell’immaginare.

All’inizio della formazione, tali processi innati, da cui si evidenzia la possibilità di produrre stati Io-somatici, non sono di nessuno interesse per il ricercatore che è maggiormente interessato al linguaggio verbale, ai suoi contenuti, ai significati e significanti attraverso cui si spiegano le cose del mondo. Non si rende proprio conto che, se non ci fosse in azione la facoltà innata di pensare, concettualizzare, sentire, immaginare, non potrebbe nemmeno esprimere i suoi significati.

Alcuni se ne accorgono soltanto in presenza di disfunzioni, ma anche in quel caso la maggior parte si rivolge al un medico, ad uno psicoterapeuta per ripristinare l’ostacolatore-discrasia. L’Innato lo si lascia come automatismo che la natura senza nulla chiederci ci offre. La maggiore completezza risiede invece nel vissuto diretto viscerale di tali processi innati anche in modo indipendente dai contenuti acquisiti, non fosse altro che per avere contezza di come ogni Io-psyché-soma-funziona. Ed è appunto in seguito a questo passaggio vissuto che il ricercatore scopre che anche gli altri Io-psyché si evidenziano da tale fisiologia innata che ci accomuna (invece l’acquisito culturale e di significati è rigorosamente diverso per ognuno). Si inizia a rendersi conto che tale fisiologia coinvolge il soma, le microparticelle che lo formano e che queste, come detto, sono entangled: a quel punto il ricercatore ha veri e propri insights di ciò che successivamente denominerà altruismo, solidarietà. In questo senso e con questi significati, la solidarietà non è una forma di impegno etico a favore degli altri, bensì si tratta della comprensione vissuta che l’altro per entanglement è parte integrante e inscindibile di noi (in modo non intellettuale) e che occuparsi dell’altro significa di fatto occuparsi di sé, comprendere l’altro è comprendere se stessi, l’aiuto all’altro in questo senso e con questi significati è aiutare se stessi, conoscere l’altro è conoscere se stessi.

È semplice partecipare-osservare come gli esseri umani siano sempre motivati dai propri interessi legittimi e, senza la condizione di consapevolezza indicata, l’altruismo e la solidarietà che mostrano nasconde sempre fini personali. Vogliono realizzazioni soddisfazioni benefici per sé, soltanto la percezione vissuta dell’entanglement coscienziale potrà avere il minimo potere di destrutturare tale realtà proiettiva acquisita che di solito è correlata.

All’idea di molti che identificano il benessere Io-somatico etico con il piacere, si può contrapporre la considerazione per cui, ovviamente, tale posizione in edonè ossia nel piacere (da cui il termine edonismo) è un ostacolatore proiettivo che frequentemente non consente di vivere maggiori intensità e funzionalità: ad esempio, se identificati nel piacere, non si vivono la beatitudine, l’estasi, lo stato E.C.A., di intensità straordinariamente più potenti e complete.

La descrizione finora proposta ci indica come in sostanza i ricercatori, inizialmente, si occupino soltanto di loro stessi, modalità descritta dal termine

solipsismo

che significa

solus, ossia solo e ipse ossia, stesso: solo se stesso.

Ma abbiamo visto come questo se stesso coincida con l’Universi-parte e non con la parte (l’essere umano), scissa da Universi. È proprio l’Universi-parte colui che può esprimere il solipsismo autopoietico, l’essere transfinito complessivo pensante che può affermare con certezza la propria esistenza, senza alterità, riconoscendo che tutto ciò che percepisce appartiene ad un mondo fenomenico di cui è parte inscindibile. Invece, partecipiamo osserviamo che molti agiscono il solipsismo acquisito che li costringe a riconoscersi come individui pensanti che dichiarano di percepire componenti di un mondo fenomenico oggettivo: tutto diviene per loro rappresentazione del proprio sapere individuale acquisito, che rende il solipsismo acquisito discrasico. Per non creare equivoci, in Sigmasofia non utilizzo il concetto di solipsismo olistico-autopoietico che pure etimologicamente lo descriverebbe bene. Mi interessa trasmettere l’esigenza di transmutare l’identificazione-fissazione nel solo acquisito in percezione vissuta dell’innato, integrato al proprio acquisito personale: quello che denomino autonomia fusionale autopoietica.

Il cifrario dall’Io-centrico all’Universi-parte centrico implica che la formazione e la somministrazione della Maieutica P.Si. dovrà prevedere tale trans-mutazione la cui mancata realizzazione sarà riconoscibile come difficoltà del ricercatore alla ricevibilità dei rimandi degli olos-direzionamenti del Maieuta. Infatti, più è identificato nel proprio acquisito meno è disponibile a riconoscere la maieutica (scambiata per altre opinioni e saperi, disponibili al Maieuta al terapeuta e che egli stesso vorrebbe affermare). I rimandi sono letti come critici, per taluni irricevibili, il ricercatore mostra la potenza dell’identificazione nella propria opinione, l’ostacolatore potere si sta evidenziando con forza. Il Maieuta dovrà sempre partecipare-osservare la ricevibilità dei rimandi da parte del ricercatore, più questi saranno ricevibili più il ricercatore dimostrerà a se stesso che sta applicando la maieutica, l’auto-maieutica e che sta riconoscendo l’altro come parte funzionale di se che non va trattata con animadversio ma come elemento da reintegrare in sè. Ciò non significa, rigorosamente, introiettare assumere far proprie le opinioni, l’acquisito dell’altro, ma al contrario significa saper entrare in se stessi riconoscere l’autonomia fusionale autopoietica che si è Universi-parte centrici e che l’espressione culturale dell’altro non è da accettare o da respingere ma semplicemente che è anch’essa un’evidenza espressa in quel modo della consapevolezza.

Ed è questo raggiungimento che apre le porte al principio attivo di transmutazione delle azioni, relazioni di vita in Io-ontos-sophos-logia operativa.


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