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RE-ICTUS

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Ho vissuto un inizio di morte lucida.

Un’esperienza reale e cosciente del mio quasi decesso.
Ora, intuisco meglio cosa può accadere in quei momenti di vita.
Ho seguito, da dentro, la mia attività psichica-cerebrale, avvenuta prima e dopo il risveglio dalla ri-animazione, ho prodotto molti picchi di attività psichica-cerebrale, un’esperienza penetrata umana, forse irripetibile. Lo spero, per me stesso. Ho chiesto un elettro-encefalo-grafia per averne conferma ma i neurologi mi hanno detto che, nel mio caso, era inutile. Un inizio di morte lucida c’è stato e l’ho vissuto, l’ho sentito, l’ho pensato, l’ho veduto, ho provato istinti-emozioni, in maniera consapevole e particolare. É come se il mio cervello si fosse progressivamente preparato all’eventualità morte, allentando i propri freni inibitori (già molto disinibiti) ed ho esplorato estensioni del mio campo coscienziale.
Ho rievocato esperienze della mia infanzia che avevo dimenticato ed in-formazioni innate: vedevo a occhi chiusi, come per altro, mi capita sempre.

Cosa accade all’inizio del post-mortem?

La mia prima impressione è stata di non avere una spiegazione a quanto mi stava accadendo: 

Perché proprio a me?

Una domanda in me, ricorsiva. 

Nello stesso tempo tutto mi appariva come inserito in un senso più olistico, più esteso,  ma, credetemi, non volevo saperne di morire!

     Non voglio darmi risposte filosofiche, al momento non mi interessa la ricerca sul senso della morte, anche se so, per esperienza, essere un semplice contenuto, un ingrediente della vita-autopoiesi. Quindi, non finiva la vita-autopoiesi ma soltanto il suo modo di manifestarsi e di funzionare nel mio corpo.

            Per un momento ho prodotto una linea piatta, sembravo non esistere,  ma allora, perché ero consapevole? 

Comunque, ho sentito che, se i medici avessero tardato pochi secondi ad intervenire non sarei più rientrato, cioè non sarei stato vivo nel modo senziente e normalmente inteso, i vasi sanguigni mi si stavano svuotando, avevo serie difficoltà respiratorie, qualunque comando davo, il corpo non rispondeva.

Ero in una morte relativa: avevo cessato le mie attività ma confidavo nel fatto che il chirurgo sarebbe intervenuto prima che il tessuto si fosse danneggiato in modo irreparabile. Ma non avevo possibilità di auto-determinazione, di risoluzione delle mie ischemie.

La morte non è poi così difficile: si è morti con il corpo fisico, nel momento in cui il cuore smette di pompare sangue nelle vene e negli alveoli polmonari inizia a non avvenire più lo scambio tra anidride carbonica e ossigeno. Tuttavia, ripeto, l’auto-coscienza c’è.
Non si tratta, per me, della cosiddetta coincidenza di morte di corpo e di anima. Sono in grado di testimoniare la mia esperienza pre-morte, ovvero l’esperienza in cui si può morire (o come nel mio caso ci si va molto vicini). Lo posso fare perché sono stato curato e rianimato. Dopo tre ictus consecutivi, posso dire che lo spazio-tempo va in remissione: una parte di me voleva, sì, andare altrove ma, simultaneamente, volevo rifunzionare nel sensibile per  portare a termine i miei progetti di vita.

             Non ho percepito quello che dicono, ossia che la putrefactio sia il confine tra il di qua e il di là: non potendo utilizzare il corpo e non potendo avvalersi dell’encefalo, l’Io-psyché si posiziona a livello di funzionalità del piano innato sovrasensibile, per specializzarsi negli stati di coscienza ordinari.
Ho sentito alcune prereazioni chimiche che avvengono durante la morte, sono avvenute all’interno del mio cervello, ma sicuramente prima della putrefactio, altrimenti ora sarei morto.

Il corpo, come detto più volte, è la densificazione dell’Io-psyché nello stesso rapporto che ha l’acqua con il ghiaccio: fuor di metafora, l’Io-psyché funziona come campo coscienziale innato senza la densificazione che è il corpo, che è l’encefalo. Infatti, non si misura attività bios-elettrica in alcuna area: penso che sia la morte cerebrale a cui segue la morte cardiaca, ossia ciò che spinge molti ricercatori (neurologi in particolare) ad affermare che con la morte dell’encefalo c’è la morte definitiva: sbagliano! Vedono e misurano un processo vero, ma non tendente al completo: infatti, l’Io-psyché continua a vivere, ad operare a livello di in-formazioni innate, come campo coscienziale da cui si evidenzia. Il corpo e l’Io-psyché sono lo stesso processo, sono distinguibili perché sono piani di diverso funzionamento. Per facilità espositiva, ho considerato l’Io-psyché come insieme di funzioni vitali e il corpo come macchina che sa specializzare le funzioni vitali in stati Io-somatici.  

Riesco a fare una distinzione. 

Se considerassi l’Io-psyché come attività emergente dall’encefalo e basta, la questione mi si evidenzierebbe come complessa: anche se il cervello non svolge più le sue funzioni non significa che a livelli innati non ci sia più conoscenza. Nel momento in cui il cuore cessa di battere, le cellule entrano in un processo di mal-funzionalità e io ne ho sentito l’inizio: quelle del sistema nervoso, che compongono parte del mio cervello, hanno iniziato a morire, forse ho subito danni permanenti. Starò a vedere.

A livello innato, l’Io-psyché e il corpo non sono quindi due elementi distinti, sono simultanei: l’uno è la densificazione dell’altro, alla morte non c’è separazione ma il funzionamento è a livello pre-densificazione (paragonabile a quello che accade durante i nove mesi di gestazione dello zigote che cresce, si densifica e diviene corpo). Non vive una nuova dimensione, bensì il suo modo di funzionare innato, non l’aldilà. (Sto trattando delle informazioni che ho saputo intuire durante la mia esperienza pre-morte).

Non c’è la profondissima quiete di cui molti riferiscono, ma una paura molto intensa di non farcela a rientrare, perché si vuole rientrare, ma ad ogni comando destinato ad attivare il movimento, gli arti e tutto il resto del corpo non rispondono e questo inizialmente suscita paura, angoscia: per non far prendere loro il sopravvento ad esse e tranquillizzarmi ho dovuto utilizzare tutto il mio saper non disperdermi in quelle intensissime emotività.

La sensazione è quella dell’impotenza, sentivo di non poter far nulla, aspettavo soltanto che il chirurgo sbloccasse l’ischemia, in corso nell’arteria basilare. La mia crisi grave è insorta in ospedale, durante il ricovero in seguito al secondo re-ictus: benché la delocalizzazione mi facesse sentire in lontananza il benessere, io volevo rientrare. È questo il punto. Secondo me, molti si lasciano andare alla paura che quello stato suscita, il mio consiglio è di non assecondarla, ma farsi trovare pronti, predisposti e senza amplificazioni proiettive filosofico-religiose, new o next-age. I protocolli medici ci sono e, se si arriva in tempo, vengono applicati e funzionano: all’insorgenza della crisi grave, io mi trovavo in ospedale ed ero consapevole di questo. Al momento in cui hanno inserito i due stent e il mio encefalo iniziava di nuovo a vascolarizzarsi, la mia pre-disposizione psichica ha potuto funzionare nella sua densificazione somatica. Non aspettavo altro. 

Grazie neurologi che mi avete trattato! 

Vi dico però che il mio recupero non è stato un miracolo: io mi sono predisposto a quello e voi avete saputo fare il Vostro, per questo motivo in sala ri-animazione, appena mi avete risvegliato, sono saltato sul letto e ho respirato da solo, senza macchine, e ho potuto salutare i miei parenti ed amici, preoccupatissimi per me. 

Non importa che lo spazio-tempo e il tuo riconoscerti semovente in natura vadano in remissione in favore del sentirsi soltanto natura, non scisso dall’ambiente: ricorda che la tua neocorteccia, il tuo acquisito, vuole rientrare e non preoccuparti. Necessariamente produrrai più avanti il tuo punto morte e le sensazioni di infinita pace che taluni di voi dicono di aver provato.

Se ti sei ben partecipato-osservato saprai che non c’è alcun tunnel orizzontale o verticale che si deve attraversare più o meno bruscamente, ma soltanto la Tua consapevolezza.

Il fatto che io abbia visto mio cugino Paolo, morto nello stesso periodo del mio ricovero, dimostra che mio cugino è estremamente presente nel mio ricordo, lo ricordo: punto

Il fatto che vedessi i medici dall’alto dipende dalle mie capacità precedenti di delocalizzazione. 

Ora voglio darti un mio messaggio finale:

“Malato” di ischemia,
lo so che sarai lucido e posizionato ad un livello più innato ed
è esattamente lì che dovrai gestire la paura-angoscia che vivrai:
se ti auto-indurrai soltanto la delega al medico che ti opererà, non sarà sufficiente.
Predisponiti!
Il protocollo è quello e i medici sanno che cosa fare. Tu, però, predisponiti, se vuoi evitare un decorso drammatico, come molti di voi mi hanno fatto constatare,  nel reparto di neurologia in cui ero inserito.
Altro che profondissima quiete ed infinita pace, termini che all’essenza non vogliono dire nulla:
da lì si vuole rientrare,
per completare il proprio progetto di vita!

 

 


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